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Alla ricerca della Sicurezza

Alla ricerca della sicurezza

Il termine “coping”, a oltre sessant’anni dalla sua introduzione in psicologia, è ormai diffuso e utilizzato all’interno dei contesti lavorativi per indicare le strategie per far fronte allo stress. Generalmente si parla di strategie e adattative, volte a diminuire il malessere e a trovare le risorse interne e/o esterne per recuperare benessere. Recuperare benessere significa, nel profondo, sentirsi al sicuro fisicamente ed emotivamente, non aver nulla da temere e poter agire in maniera coerente a se stessi.

Il concetto di coping è intrecciato a quello di resilienza (ndr. si veda S News n. 49, pagg. 60 e 61), con la differenza che quest’ultima è riferito a un tempo più ampio, mentre il coping è contestualizzato nel qui e ora della situazione.

Nei corsi di formazione, prendendo spunto dalla letteratura scientifica su questo tema, si tendono a distinguere due tipi di coping: centrato sul problema e centrato sull’emozione. Il coping centrato sul problema riguarda quei comportamenti volti ad affrontare le cause del problema: per esempio pianificare, progettare, ridefinire il tipo o la mole di lavoro, recuperare nuove risorse (sia esterne sia interne, come sviluppare l’assertività). Il coping centrato sull’emozione ha la funzione di consentire l’attraversamento di emozioni spiacevoli per ridurre lo stress: per esempio è possibile cercare di avere uno sguardo diverso su ciò che sta accadendo, ricercare supporti emotivi o scaricare le tensioni attraverso lo sport. È stata individuata anche una terza categoria di coping, detto di evitamento, che è caratterizzata dal cercare di evitare il problema, senza eliminarlo: per esempio, la procrastinazione, di cui si è parlato nel numero precedente della rivista (ndr. S News n. 62, pagg. 68 e 69). 

A volte si introducono altre categorie di coping, come il coping proattivo (anticipare mentalmente l’eventuale presenza di problemi per poterli poi gestire quando si presentano, anziché mettere in atto il coping reattivo per rispondere a qualcosa di stressante che è già avvenuto), quello sociale (ricercare il supporto delle persone, come colleghi, famigliari o amici) e quello centrato sul significato (riuscire a dare un senso o imparare qualcosa da quello che si sta vivendo).

È chiaro che non sempre le strategie per affrontare i problemi e gli stress risultano costruttive o vadano bene in tutte le situazioni. Bere molti alcolici o prendere a pugni una persona possono avere un effetto immediato che può sembrare positivo, ma le conseguenze dannose su sé e sugli altri superano di gran lunga la positività del momento, generando un aumento di stress e un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire. Evitare di affrontare un problema o minimizzarlo talvolta può essere costruttivo, ma altre volte potrebbe ritorcersi contro nel tempo, così come utilizzare l’umorismo e l’ironia possono far cogliere diversamente la situazione, ma potrebbero non essere adatte in tutti i contesti.

Strategie che consentono il perdurare del benessere possono essere: provare a guardare la situazione da altri punti di vista, praticare la gratitudine, migliorare le abilità comunicative, scrivere come ci si sente, avere cura di sé attraverso azioni come ascoltare musica, fare sport, vedere gli amici, meditare, cucinare, creare in maniera artistica, ecc.

Per alcuni studiosi il coping è caratterizzato da comportamenti consapevoli e volontari. In realtà solitamente di fronte a un problema utilizziamo in automatico gli strumenti emotivi e cognitivi che possediamo; la consapevolezza entra in un secondo tempo. Possediamo alcuni di questi strumenti fin da piccoli (dai 2-3 mesi i neonati mostrano già un atteggiamento di coping preferenziale). In quest’ottica, può essere utile prendere in considerazione le strategie di coping che utilizzano i piccoli, ma che permangono anche da adulti, per imparare ad osservarle su se stessi e sugli altri. Si tratta di comportamenti che coinvolgono per lo più il corpo e la cosiddetta comunicazione non verbale, come avere movimenti autoconsolatori (mangiarsi le unghie, toccarsi i capelli, mettersi la penna in bocca, intrecciare le dita, muovere una gamba, accarezzarsi un braccio, ecc.), allontanarsi fisicamente (anche semplicemente spostandosi di poco o intrecciando le braccia a protezione), non guardare in faccia. Verso i due anni i bambini imparano altre strategie, che utilizziamo anche da adulti e coinvolgono maggiormente il pensiero, come nominare ciò che si sta provando o, al contrario, evitare di pensare e parlare di ciò che si sta provando.

Se ci pensiamo, molti micro-comportamenti e molti pensieri nell’arco della giornata sono dedicati a fronteggiare piccoli e grandi stress. Acquisire consapevolezza di ciò che il corpo e la mente fanno per affrontare le difficoltà è il primo passo per non agire in automatico e, soprattutto, per interrogarsi su come mai certe situazioni ci fanno sentire sotto scacco o ci fanno provare emozioni spiacevoli. Perché le azioni di coping hanno lo scopo primario di metterci in sicurezza emotiva. Probabilmente in questo modo scopriremo più a fondo le nostre paure, potremo così guardarle meglio e non farci guidare da esse.

Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista,
curatrice della rubrica Ben-Essere al lavoro,
è parte del Comitato Scientifico di S News
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