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Alzi la mano chi si connette ai social media quando lavora

Alzi la mano chi si connette ai social media quando lavora

I Social Media, argomento di estrema attualità su vari fronti particolarmente in questo periodo, sono al centro dell’interessante e strutturato approfondimento di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista e parte del Comitato Scientifico di S News, curatrice della Rubrica Ben-Essere al lavoro.

Molte le informazioni, le riflessioni ed i consigli professionali che scaturiscono dalla penna dell’autrice, quindi…

Buona lettura!

la Redazione

ALZI LA MANO CHI SI CONNETTE AI SOCIAL MEDIA QUANDO LAVORA
A questa domanda probabilmente avete alzato la mano. È  sotto gli occhi di tutti come i social media (Facebook, Instragram, Twitter, LinkedIn, Tik Tok, ecc.) abbiano modificato le nostre vite, il modo in cui apprendiamo, interagiamo con gli altri, ci divertiamo. Il tempo trascorso sui socials sta aumentando in tutto il mondo (soprattutto ora, durante la pandemia).

Ma che effetto ha l’uso dei socials quando si sta lavorando? Partendo dalla propria esperienza personale, qualcuno potrebbe concludere che portano via tempo e le continue notifiche distraggono e, quindi, non va bene utilizzarli. Qualcun altro, al contrario, direbbe che grazie ai socials ha migliorato i rapporti con i clienti e i potenziali clienti e ha creato un clima più sereno tra i propri collaboratori.

Anche le più recenti ricerche scientifiche, di fatto, mettono in luce questi aspetti contrastanti. Per esempio, si è visto che i social media, utilizzati per scopi lavorativi, aumentano la produttività e il coinvolgimento dei dipendenti o collaboratori, la soddisfazione dei clienti, l’organizzazione interna del gruppo di lavoro e l’aiuto reciproco.

Ma si è anche visto che l’utilizzo dei socials può ostacolare l’impegno, influire sull’efficienza e la produttività. Questo accade soprattutto se il loro l’utilizzo viene fatto per scopi non direttamente collegati al lavoro e se il loro uso è eccessivo.

Alcuni studi hanno osservato che il tempo “giusto” di utilizzo dei social media per scopi lavorativi è di 2-3 volte alla settimana, mentre un uso troppo scarso o troppo elevato ne riduce i vantaggi.

Un’ulteriore puntualizzazione è necessaria: a volte si usano i socials al lavoro per questioni non lavorative, per esempio ci si connette per passare il tempo, per evitare di affrontare una problematica, perché si è frustrati o perché è difficile resistere alla tentazione di guardare cosa succede sui propri social e quanti “likes” o risposte si sono ottenuti. Si tratta, in questi casi, di usi distorti e dannosi, che possono impattare negativamente sul lavoro e, in particolare, sull’equilibro tra vita personale e vita lavorativa, generando esaurimento emotivo e burnout lavorativo.

È chiaro che non sono i social media a essere pericolosi: è il modo in cui li utilizziamo che fa la differenza. Tocca a noi decidere se usarli come strumento di arricchimento e facilitazione della vita lavorativa o se farli diventare punto di riferimento centrale della nostra esistenza, fino a sviluppare una vera e propria dipendenza, che, come ogni dipendenza, porta ad alienarsi da se stessi e dalla vita reale.

Dal momento che siamo tutti connessi e anche in maniera massiccia, può essere utile chiederci perché ci attira utilizzare i socials, tanto da non riuscire a volte a resistere dal connetterci e diventarne dipendenti.

Il loro utilizzo soddisfa alcune caratteristiche che sono naturali per il nostro cervello, in particolare: la creazione di connessione con gli altri (l’essere umano è profondamente sociale e si sviluppa nelle relazioni) e la voglia di conoscere e scoprire. In questo senso il nostro interesse nei socials è assolutamente in linea con gli scopi di sopravvivenza ed evolutivi dell’essere umano. Tuttavia rimane essenziale portare avanti un pensiero critico sul modo in cui fruiamo di questi strumenti, perché possono diventare un boomerang che, anziché sostenere la nostra evoluzione, ci rende schiavi ed estranei alla vita stessa. Per esempio, è facile diventare dipendenti dalla risposta che arriva dall’esterno, dalla conferma che arriva dall’altro, dall’osservare le vite degli altri dietro a uno schermo, evitando di vivere la propria. E questo non permette di coltivare le proprie potenzialità e la consapevolezza di sé, che sono fondamentali per stare al mondo con pienezza.

Già una decina di anni fa i neuroscienziati rilevavano come la diminuzione delle interazioni faccia a faccia, a favore di interazioni tramite social media, portasse ad un utilizzo diverso del cervello. L’utilizzo dei socials incide, per esempio, sull’attivazione squilibrata di due reti cerebrali, definite del “guardar fuori” e del “guardarsi dentro”, che sono fondamentali nel guidare i nostri comportamenti. La rete cerebrale del “guardar fuori” si attiva quando facciamo compiti diretti a uno scopo e poniamo l’attenzione verso il mondo esterno. La rete del “guardarsi dentro” si attiva quando il cervello è a riposo e non è attivo nel ricercare stimoli, quando immagina qualcosa, ricorda, riflette, fa introspezione.

Queste due reti cerebrali si alternano, facendoci passare da stati di focalizzazione su attività esterne a stati mentali più liberi, indipendenti da ciò che accade fuori. Si è visto che la qualità dell’attività cerebrale del cervello che “si guarda dentro” è connessa alla qualità delle successive risposte agli stimoli esterni. L’attenzione e l’impegno nel raggiungere uno scopo dipendono, quindi, dalla possibilità di avere dei momenti in cui il cervello “riposa” e “guarda dentro”, attivando un’elaborazione socio-emotiva che è fondamentale per ricordare, riflettere, sognare, cogliere in maniera critica ciò che ci accade, progettare, creare.

Quello che accade oggi è che l’uso eccessivo dei socials, le continue notifiche in arrivo che richiamano la nostra attenzione, la comunicazione breve e frammentata che utilizziamo quando ci connettiamo, porta ad un uso massiccio della rete cerebrale del “guarda fuori”, a scapito di quella del “guardar dentro” (ndr. Si veda l’articolo su Il riposo non è ozio ).

Dal punto di vista psicologico, diverse ricerche hanno evidenziato come, al di là dell’essere maschi o femmine e della cultura di appartenenza, un uso intenso dei social media porta ad una diminuzione dell’autostima e della soddisfazione della propria vita, aumenta l’ansia e porta a dar meno peso alla realtà circostante. Si stanno diffondendo anche problemi da carenza di sonno, perché l’utilizzo dei socials alla sera ritarda notevolmente l’orario di addormentamento.

C’è anche da notare che quando usiamo i socials tendiamo a passare più tempo a leggere le attività degli altri, piuttosto che a sviluppare qualcosa di nostro, riducendo così la creatività e sotterrando il nostro potenziale. Forse, a fine giornata, ci dovremmo chiedere se abbiamo davvero vissuto la nostra vita o, piuttosto, assistito da uno schermo alla vita altrui.

È importante interrogarsi sul proprio rapporto con tali mezzi, soprattutto in questo periodo, perché durante la pandemia la quantità di tempo connessi è aumentata enormemente e, se da un lato questo ha permesso di mantenere i contatti durante il lockdown, dall’altro lato ha aumentato i nostri livelli di dipendenza da socials. Si è osservato come chi è stato più connesso e, quindi, esposto alle notizie e alle ansie altrui, aveva più probabilità di sviluppare ansia e depressione. I socials sono contagiosi: se più persone esprimono emozioni negative, come paura, preoccupazione, nervosismo e così via, sarà facile che questo contagi anche altri che leggono e si identificano, perdendo la lucidità di pensiero nel guardare alla propria personale situazione. Questo è l’opposto di un uso virtuoso dei socials, che possono permetterci di “contagiare” i collaboratori con l’entusiasmo, il coinvolgimento verso gli obiettivi, il sostegno reciproco nell’affrontare le problematiche.

Ti invito a rispondere alle domande nel riquadro, per valutare il rapporto con i social media.

SONO DIPENDENTE DAI SOCIALS?
Pensa al tuo rapporto con i social media (Facebook, LinkedIn, Twitter, Instagram…) e all’uso che ne hai fatto nell’ultimo anno.  Rispondi alle seguenti domande con:

“Raramente”o “Qualche volta” o “Spesso”.

1. Trascorri molto tempo pensando ai socials?
2. Hai sentito il bisogno di usare sempre di più i socials?
3. Hai usato i socials per dimenticare i tuoi problemi?
4. Hai provato a smettere di usare i socials senza riuscirci?
5. Sei diventato ansioso o agitato se ti è stato proibito l’uso dei socials?
6. Hai utilizzato i socials così tanto che il loro uso ha avuto un impatto negativo sul tuo lavoro?

Se hai riposto “Spesso” a una o più domande, prova a monitorare la quantità e la qualità del tempo passato sui socials, chiediti quali sono le priorità della tua vita al di là di essi e ricordarti di ritagliarti dei momenti di introspezione, in cui pensare a te stesso e a ciò che stai provando, senza correre a distrarti o a condividere immediatamente i tuoi stati emotivi con gli altri sui social media.

di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista

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