Ben-Essere al lavoro, Giulia Cavalli: quando perdiamo la pazienza…
Ben-Essere al lavoro, Rubrica di S News propone una riflessione relativa a quando si perde la pazienza e ci si arrabbia, fino a perdere a volte il controllo della propria mente. Interessanti, come sempre, gli approfondimenti ed i consigli professionali che scaturiscono dalla penna di Giulia Cavalli, curatrice della rubrica, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista e parte del Comitato Scientifico di S News.
Buona lettura, quindi!
la Redazione
QUANDO PERDIAMO LA PAZIENZA…
Capita di perdere la pazienza e arrabbiarsi, fino a perdere a volte il controllo della propria mente e urlare, andarsene sbattendo una porta, chiudere il telefono in faccia o scoppiare a piangere e così via. E, anche se non è facile da vedere in se stessi e da ammettere, di solito ce la prendiamo molto con gli altri, quando in realtà il problema è nostro.
Quando perdiamo la pazienza accade che diventiamo reattivi e smettiamo di essere ricettivi, ci sentiamo travolti da emozioni e pensieri, la consapevolezza di ciò che sta accadendo dentro di noi diminuisce e reagiamo in maniera automatica. Concretamente, nel cervello questo si traduce in una disattivazione dell’integrazione tra neuroni nella corteccia prefrontale (la parte del cervello che caratterizza l’essere umano e che ci permette di pianificare, concentrarci, relazionarci in maniera adeguata, ecc.) e nell’attivazione della parte del cervello che agisce in maniera istintiva per proteggerci (da frustrazioni, pericoli, ecc…).
Cosa può aiutare a riattivare l’utilizzo della corteccia prefrontale, facendoci smettere di reagire e permettendoci piuttosto di agire consapevolmente?
La risposta può apparire banale, ma difficile da mettere in pratica se non alleniamo questo atteggiamento: la riflessione.
Riflettere significa osservare cosa sta accadendo dentro di noi in quel momento in quel contesto, senza pregiudizi su “come dovrebbero andare le cose”, senza aspettative. È come vedersi dall’esterno, sapendo che le emozioni che ci stanno travolgendo in quel momento sono solo una parte di noi e non tutta la nostra identità. Solo in questo modo si esce dall’automatismo e dall’abitudine e si può modificare qualcosa (quanto volte abbiamo detto, perdendo la pazienza: ma è sempre la stessa storia?! Non è possibile!). E poi possiamo essere pronti a riconnetterci agli altri, perché prima – riflettendo e ascoltandoci – abbiamo potuto riconnetterci a noi stessi.
Non è quasi possibile utilizzare questo tipo di riflessione (che in gergo tecnico si chiama “mindsight”) durante una tempesta emotiva, ma è utilissimo farlo dopo, quando le acque si sono calmate.
È inutile vergognarsi, sentirsi in colpa o frustrati per aver perso la pazienza e non essere stati riflessivi: cerchiamo di essere accoglienti verso noi stessi. “La riflessione richiede una sintonizzazione con il sé che sia supportiva e amorevole, non un’istanza giudicante, inquisitoria e denigratoria.” (Siegel, 2010, p. 45).
Dopo aver recuperato la calma, potremmo chiederci: quali erano le sensazioni nel mio corpo quando ho reagito in quella maniera? Quali immagini avevo in mente? Quali emozioni? Quali pensieri (e questi pensieri sono ancora in me)? Forse posso anche accorgermi che l’esplosione è avvenuta perché un evento ha assunto un significato particolare per me (magari era connesso a personali esperienze passate), o perché avevamo fame o stanchezza.
Quando perdiamo la pazienza ci focalizziamo su quello che sta facendo l’altro, su chi ha ragione e chi ha torto, distogliendo però così l’attenzione dalla propria personale esperienza di ciò che sta accadendo. Ma è il guidare il nostro sguardo proprio su noi stessi, a permetterci di cogliere diversamente la situazione.
La riflessione su se stessi porta a coinvolgere attivamente di nuovo le connessioni tra neuroni (creandone anche di nuove) nell’area prefrontale, facendo emergere la capacità di regolare il corpo (che solitamente, se perdiamo le staffe, si affanna), di comunicare efficacemente, di essere equilibrati emotivamente, di provare empatia, di essere intuitivi, di star bene con se stessi.
E, cosa non da poco, più riusciamo a vedere come funzioniamo, senza rincorrere falsi ideali di perfezione e invulnerabilità, più possiamo accogliere anche gli altri e la loro umanità.
a cura di Giulia Cavalli psicologa psicoterapeuta, psicoanalista