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Ben-Essere al lavoro, Giulia Cavalli: Ripresa o sorpresa?

Ben-Essere al lavoro

Ben-Essere al lavoro, la Rubrica di S News a cura di Giulia Cavalli, propone una riflessione ed un approfondimento sulla comunicazione, con specifico riferimento al periodo Covid che abbiamo vissuto e tutt’ora stiamo vivendo.

Ripresa o sorpresa?” presenta un approccio professionale al tema, come sempre negli articoli di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista e parte del Comitato Scientifico di S News, che anche in questo caso suggerisce consigli e riflessioni interessanti per noi tutti.

Buona lettura!

la Redazione

RIPRESA O SORPRESA?

Oggi trovo inutile o forse dannoso spendere tante parole sul periodo che abbiamo passato e stiamo passando: ne sono già state dette troppe, a proposito e a sproposito. La comunicazione (spesso caotica e fuorviante) ci ha riempito per mesi la testa con termini come: quarantena, lockdown, chiusura, paura, obblighi, contagio, bollettino…
Sappiamo bene come le parole influenzino il pensiero, gli diano forma e creino un’immagine della realtà (perché la realtà non è quella che vediamo, ma quella che il nostro cervello costruisce). Una frase banale come “Perino ha rotto un foglio” veicola significati e immagini differenti nel nostro cervello (ognuno di noi si può immaginare una scena di Pierino che ha rotto il foglio) rispetto alla frase “Un foglio è stato rotto da Pierino” (qui l’attenzione è prima di tutto sul foglio) oppure “Pierino non ha lasciato intatto il foglio” (qui sembra che stiamo supponendo che forse Pierino ha rotto di proposito il foglio, anche se non doveva) o “Pierino ha strappato un foglio”, “Pierino ha sgualcito un foglio”, “Il foglio non è rimasto intatto nelle mani di Pierino” e potremmo andare avanti con tanti altri esempi, semplicemente modificando le parole, il soggetto, la forma attiva o passiva dei verbi, ecc.
È come se per ogni frase potessimo girare film differenti, che accendono l’occhio di bue su un personaggio, piuttosto che su un altro e ci fanno apparire Pierino come più o meno colpevole o distratto, o il foglio come vittima o più o meno fragile.
Rispetto alle parole del periodo Coronavirus, sarebbe stato probabilmente diverso nella testa delle persone se i termini maggiormente usati fossero stati, per esempio, “comunicazione” anziché “bollettino” (che richiama alla guerra), “essere accorti” (evitare la trasmissione del virus richiede un comportamento adeguato), “attenzione per sé e per gli altri” e così via.
Non si tratta di trovare parole edulcorate di fronte a una realtà tragica, ma di porre l’attenzione su aspetti differenti.
È chiaro che il modo in cui la mente si immagina la realtà, a partire dalle parole dette, genera aspettative e condiziona i nostri comportamenti. Non a caso, nel duro periodo di diffusione massima del Covid-19, i prezzi di certi prodotti utili per la prevenzione della salute sono saliti alle stelle ma sono comunque stati acquistati; le case produttrici di psicofarmaci (in testa ansiolitici e antidepressivi) hanno visto ampia diffusione dei loro farmaci e, soprattutto nel primo periodo, i supermercati sono stati presi d’assalto con spese utili per campare diversi mesi, lasciando per lungo tempo sguarniti gli scaffali di lieviti e farine. Per non parlare degli insulti lanciati contro le persone che uscivano per strada (magari per andare a lavorare), visti come “untori”.
Le parole hanno avuto un grandissimo impatto su tutti i nostri comportamenti e giudizi!

Ma veniamo all’oggi. Una delle parole più gettonate è “ripresa”. È una parola che sicuramente ci piace di più rispetto a lockdown e simili. È un termine che ci fa tirare un sospiro di sollievo, mentre immaginiamo di tornare alla quotidianità pre-virus.
E qui si annida a mio parare un rischio. Parlare di ri-presa (cioè un prendere di nuovo) genera nella nostra mente l’idea simile a quella di quando ci si riprende da una frattura di un braccio: “è passato il malessere, tutto tornerà come prima, dovrò rimettermi un po’ in forze, ma riprenderò la vita di sempre”. Questo significa crearsi un’aspettativa, che se non si avvererà produrrà un disagio (rabbia, frustrazione, panico…) ancora più elevato del precedente e un incaponirsi nel cercare di far tornare la nostra vita come prima. Perché prima del virus – questo è un altro sott’inteso – era più bello. Ma potremmo trovare anche contenuti opposti (che non sono altro che l’altra faccia della medaglia) del tipo “la ripresa farà tornare tutto come prima, per cui la natura tornerà a soffrire, l’essere umano ad essere alienato nel suo correre quotidiano…”.

Se ci soffermiamo, basta poco per smontare tutte queste immagini che la mente si crea in maniera immediata e non consapevole e che ci guidano, proprio come un pilota automatico, togliendoci la capacità di riflessione critica.
Innanzitutto, il prima non può mai essere uguale al dopo. La vita è movimento.
In secondo luogo, il dopo non è né meglio né peggio del prima. È semplicemente diverso. Sono i nostri schemi mentali che confrontano continuamente e giudicano come bene o male qualcosa (vedasi, a tal proposito, la storiella nel box sotto).
In terzo luogo, nella ri-“presa” non possiamo sapere cosa “prenderemo”, cosa pescheremo nel mare della vita (di sicuro non i pesci di prima, perché quelli sono già stati pescati, magari pescheremo pesci simili o magari altri tipi o magari nulla). E non sarà né una fortuna né una sfortuna ciò che accadrà, sarà semplicemente ciò che accadrà. Togliere il giudizio (è bene, è male, è una fortuna, è una sfortuna…) verso ciò che osserviamo e ci capita, aiuta molto a vedere la realtà per quella che è, e ad accettarla
Mantenere sempre gli stessi schemi per guardare alla realtà, per quanto possa darci sicurezza (perché ho fatto sempre così), ci intrappola in aspettative inutili e ci rende più facilmente “manipolabili”.

Propongo allora di sostituire alla parola ri-presa, la parola sor-presa. La ripresa implica un guardare indietro, a prendere ciò che ci è sfuggito di mano. La parola sor-presa significa “prendere dal disopra”, avere una visione ampia, che genera stupore. Abbiamo già parlato dello stupore (ndr. Lo stupore, S News n. 43, pag. 59 e su snewsonline.com) e di come apra lo sguardo per aprirci al nuovo, al movimento, alla creatività. Questo non significa vivere emozioni positive, perché si può sperimentare anche il dolore in seguito a una sorpresa, ma di sicuro non saremo intrappolati in uno schema vecchio.
La sorpresa è quella dei bambini, pronti a cogliere le opportunità che ogni nuova scoperta (anche negativa e dolorosa, come una porta chiusa sulle dita o la chiusura della scuola a causa del virus) porta con sé.
Sostituire la ripresa con la sorpresa non è facile: già cambiare la parola può aiutarci, poi serve tanta attenzione al modo in cui guardiamo al mondo e a noi stessi.

Tanti anni fa un uomo e suo figlio vivevano in un piccolo villaggio. Non possedevano molto: una baracca, un campo da coltivare e un cavallo per arare il campo.
Un giorno il cavallo scappò. Gli abitanti del villaggio andarono a trovare l’uomo e gli dissero: “Il cavallo era necessario per poter lavorare. Che sfortuna hai avuto!”.
E l’uomo rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
La settimana successiva, il cavallo fece ritorno insieme ad altri due cavalli selvatici. L’uomo e il figlio si ritrovarono quindi con tre cavalli. Gli abitanti del villaggio sorrisero all’uomo e gli dissero: “Avevi un solo cavallo e ora ne hai tre. Che fortuna hai avuto!”.
E l’uomo rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
Pochi giorni dopo il figlio era intendo a pulire la stalla del cavallo, troppo piccola per contenerne tre. Uno degli animali si agitò e lo colpì con forza, facendolo cadere. Il ragazzo si ruppe la gamba. Gli abitanti del villaggio passarono davanti all’abitazione e dissero al padre: “Tuo figlio è il tuo unico aiutante e familiare. Che sfortuna hai avuto!”
E l’uomo rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
Alcune settimane dopo, alcuni ufficiali dell’esercito arrivarono nel villaggio e iniziarono a reclutare tutti i giovani per portarli a combattere una guerra che sapevano di non poter vincere. Quando passarono dalla casa dell’uomo e videro che suo figlio aveva la gamba rotta, decisero di non portarlo in guerra.
Gli abitanti del villaggio, saputa la notizia, dissero al padre: “I nostri figli vanno a morire in guerra e il tuo invece no. Che fortuna hai avuto!”
E l’uomo, come sempre, rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.

di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista

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