Ben-Essere al lavoro: Perché questo lavoro mi è riuscito bene?

Quando si ha un risultato positivo (“ho fatto un buon lavoro”, “ho trovato la soluzione a questo problema”) a cosa viene attribuito il successo ottenuto? Quando, invece, qualcosa va male (“non sono riuscito a soddisfare il bisogno del cliente”, “ho sbagliato questo lavoro”) come ci si spiega il perché dell’insuccesso?
Ciascuno di noi si fa delle idee sul perché un obiettivo sia stato raggiunto o meno, ricercando le cause che hanno condotto a quell’esito.
Per esempio, state gareggiando tra amici a un gioco in scatola con domande di cultura generale, ma commettete molti errori. Secondo voi perché? Scegliete una tra le seguenti motivazioni:
a) Le domande che mi sono capitate erano molto difficili.
b) Non avevo nessuno che potesse darmi un aiuto, né potevo consultare il web per cercare dei suggerimenti.
c) Non sono bravo/a in questo genere di cose, non fanno per me.
d) Non mi sono impegnato/a abbastanza a rispondere, perché nel frattempo stavo pensando ad altro.
e) Sono stato/a sfortunato/a: le domande erano tutte su argomenti che non sapevo.
Adesso immaginatevi nel cercare di riparare un apparecchio che non funziona più. Dopo un po’ che ci lavorate sopra, riuscite nuovamente a farlo funzionare. Come mai siete riusciti?
a) Era facile aggiustare quell’apparecchio.
b) C’erano le istruzioni e mi ha dato qualche consiglio un amico su come sistemarlo.
c) Sono bravo/a nell’aggiustare questi apparecchi, sono portato per queste cose.
d) Mi sono concentrato per capire cosa gli impediva di funzionare e ho fatto dei tentativi per trovare la soluzione corretta.
e) E’ stata tutta fortuna questa volta, in genere non riesco così facilmente ad aggiustare le cose.
Che conseguenze hanno queste risposte sul nostro comportamento futuro e sulla nostra motivazione?
Se siamo riusciti a far funzionare l’apparecchio perché ci siamo concentrati, oppure se non abbiamo risposto correttamente alle domande del gioco perché non riteniamo di esserci impegnati (risposte “d”), probabilmente pensiamo di essere persone capaci di raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti, grazie allo sforzo: ci sentiamo cioè in grado di affrontare le situazioni, andando anche incontro ad alcuni fallimenti, basandoci sulle nostre forze, sulla determinazione e sull’impegno.
Al contrario, se attribuiamo il merito del nostro successo al fatto che l’attività che siamo riusciti a svolgere era facile o alla fortuna, e diamo la colpa del nostro insuccesso alla difficoltà della situazione o alla sfortuna (rispettivamente, risposte “a” ed “e”), tenderemo a percepire che non possiamo far nulla per fronteggiare quelle situazioni, dal momento che l’esito, cioè il raggiungimento dell’obiettivo, è dovuto al caso o alla facilità/difficoltà dell’obiettivo stesso. La conseguenza è che non ci sforzeremo più di tanto per riuscire o per evitare di fallire.
Se abbiamo dato le risposte “b”, è probabile che ci aspettiamo di riuscire bene in ciò che facciamo, solo se qualcuno interviene per aiutarci, riponendo così poca fiducia nelle nostre abilità personali e nella possibilità che impegnandoci possiamo, prima o poi, raggiungere l’obiettivo.
Infine, chi ha risposto “c” tenderà a basarsi unicamente sulle proprie capacità nell’affrontare le situazioni: se abbiamo una buona abilità in quel campo allora riusciremo, se invece non ci sentiamo portati sarà praticamente impossibile avere successo e tenderemo a evitare di affrontare quell’attività. Ciò conduce a basare la riuscita unicamente su alcune nostre qualità, di cui possiamo fidarci, e non sull’impegno che possiamo metterci.
In ogni ambito (dalla scuola al lavoro, dal gioco alle relazioni) cerchiamo dentro di noi le spiegazioni (definite “attribuzioni causali”) sul motivo per cui le cose sono andate bene oppure no, sia riferendoci a noi stessi sia agli altri.
Le risposte che possono dare sono simili a quelle che abbiamo visto nella breve esercitazione e si possono riferire alla fortuna, alle abilità personali, alla facilità del lavoro, all’aiuto ricevuto o all’impegno messo.
Ugualmente ci si può spiegare il motivo di un fallimento dicendo che è stata la sfortuna, che la richiesta era troppo difficile, che non si è ricevuto nessun aiuto per affrontare quel lavoro, che non si è portati per quell’ambito o riconoscendo che effettivamente non ci si è impegnati abbastanza per affrontarlo o si è adottata la strategia sbagliata.
L’interpretazione dei risultati raggiunti – siano essi positivi o negativi – influenza la motivazione. Chi ritiene che l’impegno abbia un ruolo importante nel determinare l’esito delle sue prestazioni, è maggiormente motivato e si sforza a raggiungere gli obiettivi. Chi, al contrario, crede di poter far poco o nulla per modificare i propri risultati – perché questi sono considerati dipendenti dalle proprie abilità innate, dal caso, dall’aiuto altrui o dal tipo di prestazione richiesta – difficilmente aumenterà il proprio impegno e sarà motivato ad apprendere e a migliorarsi.
Se ci si trova in un ruolo di coordinamento e direzione di altre persone, è importante cercare di cogliere non solo a quali motivi i propri collaboratori fanno riferimento per spiegare i propri successi o fallimenti, ma anche interrogarsi su ciò che noi stessi crediamo rispetto alle cause dei loro risultati.
Affermazioni (anche solo pensate, ma sono comunque rappresentazioni mentali che influenzano l’andamento dei rapporti) come “questo collaboratore è proprio negato per questo lavoro”, “tu sei portato per questo”, “sei riuscito solo perché il tuo collega ti ha dato quel suggerimento”, “hai sbagliato perché non hai chiesto a me come fare”, “hai avuto fortuna nel trovare la soluzione”, “sei riuscito perché è stato un lavoro facile”, “sei andato male perché era davvero difficile” e così via, tendono a non trasmettere l’importanza dell’impegno personale.
È assolutamente vero (ed è anche utile riconoscerlo, perché non tutto è controllabile o non tutto può essere raggiunto senza aiuto altrui) che il lavoro poteva essere veramente troppo difficile o che si è portati per alcuni ambiti piuttosto che per altri, così come accade che la “fortuna” o l’aiuto degli altri sia determinante nella riuscita. Ma riferirsi solo a queste cause, mettendo in secondo piano lo sforzo che ciascuno fa per affrontare le situazioni, rischia di demotivare verso il lavoro e suggerisce l’inutilità di attivarsi con impegno e di coltivare la fiducia nelle risorse che si possono mettere in campo per riuscire in una situazione.
CAUSE INTERNE O ESTERNE?
In psicologia viene definito “Locus of Control” (LoC) il significato attribuito a un risultato; è un particolare tipo di attribuzione causale, che si è mostrato indipendente dall’intelligenza, dal livello d’istruzione e dalla desiderabilità sociale.
Un LoC adeguatamente interno (ovvero assumersi la responsabilità o il merito dei risultati ottenuti, quindi per esempio far riferimento all’impegno che si è messo per affrontare la situazione) in genere sostiene l’autostima e l’autoefficacia: si è più consapevoli e responsabili dei propri comportamenti e, in caso di riuscita, si ha una maggior gratificazione, mentre in caso di fallimento si ritenta con più impegno, passando attraverso una rielaborazione critica.
Nella cultura occidentale il LoC interno è quello più diffuso e incoraggiato, ma attenzione! Un LoC completamente interno porta a sperimentare un senso di sé irrealistico e onnipotente in caso di successo oppure ansia e depressione in caso di fallimento. In fondo nella vita ci muoviamo con impegno, ma consapevoli della presenza di eventi esterni o non previsti che influenzano l’andamento dei risultati. Avere un LoC interno sostiene la possibilità di poter trovare il proprio modo di affrontare le situazioni, pur nella loro processualità e talvolta imprevedibilità; porta a essere più coinvolti in ciò che si sta facendo e ad avere più fiducia nel fatto che si possano affrontare le situazioni problematiche.
Un LoC esterno (è colpa o merito del caso, del destino, dell’intervento degli altri…) in genere porta a comportamenti passivi. A volte si utilizza questo LoC per evitare di sentire il dolore di un fallimento, cercando così di salvaguardare la propria autostima (perché la colpa è di qualcos’altro o qualcun altro).
CAUSE CONTROLLABILI E STABILI O IMPREVEDIBILI E TRANSITORIE?
Le cause che attribuiamo ai risultati, che siano interne o esterne, possono avere anche altre caratteristiche: essere controllabili (la persona può gestire l’andamento della situazione) o imprevedibili ed essere stabili (una causa permanente) o transitorie.
Quindi un successo o un insuccesso possono essere elaborati riferendosi a quattro tipi di attribuzione:
• abilità o incapacità,
• maggiore o minore impegno profuso,
• caratteristiche del lavoro, che può essere facile o difficile,
• fortuna e casualità.
Per esempio: l’essere stati male la notte prima di un lavoro importante è una causa interna, incontrollabile e transitoria; l’abilità (“sono portato per…”) è una causa stabile, interna e non controllabile; lo sforzo e l’impegno sono cause interne, instabili (posso impegnarmi oppure no) e controllabili; la fortuna è una causa esterna, incontrollabile e transitoria; la facilità o difficoltà di un lavoro è una causa esterna, stabile e non controllabile. E così via.
Soffermarci sul perché dei risultati lavorativi non è tempo perso: aiuta a riflettere su se stessi, a smuovere eventuali credenze limitanti, a creare motivazione e sostenere l’autostima.
di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista