Ben-Essere al Lavoro: il contatto che fa la differenza
Sei empatico? Per esempio, tendi a immedesimarti nei dolori altrui quando vedi o senti qualche notizia spiacevole? Amici e colleghi spesso si confidano con te perché si sentono capiti?
L’empatia è la capacità di pensare e sentire dentro di sé le emozioni degli altri. Alcune persone vedono l’empatia come una caratteristica umana meravigliosa, capace di creare legami, mentre altre, probabilmente le più sensibili, la vivono come una condanna, perché le sofferenze dell’altro entrano dentro appesantendo e diventando ostacolo per un agire lucido e razionale.
In effetti, la capacità empatica, che offre un accesso diretto all’altro, può essere un’arma a doppio taglio. E in generale non possiamo scegliere se e quanto essere empatici, è automatico. La maggior parte delle persone se vede un volto felice sorride, se vede una persona arrabbiata, si acciglia. Le ricerche mostrano che questo accade anche quando l’esposizione all’altro è così breve da non essere registrata dalla consapevolezza: volti percepiti in maniera subliminale fanno scattare in noi le stesse sensazioni di quei volti, anche se non sappiamo coscientemente di averli visti. Questo accade perché l’empatia si basa su un’imitazione corporea automatica, che suscita sensazioni.
Ciascuno di noi vive questo tipo di empatia con intensità differenti: c’è chi di fronte al pianto di una persona scoppia a piangere e chi rimane più distaccato e freddo. Senza addentrarci nei meccanismi che determinano queste differenze, può essere utile comprendere che l’empatia, così come è stata descritta fino a qui, è solo una parte del gioco delle relazioni umane e che, affinché questo “gioco” funzioni bene, è necessario ampliare l’idea di empatia.
L’empatia unidirezionale e l’empatia come connessione
Se consideriamo l’empatia come unidirezionale (io che sento e penso a quello che provi tu), è probabile che in certi momenti si arrivi a detestare la propria capacità di sentire e che questa sia pure di ostacolo nella quotidianità. Se lavoriamo invece sull’empatia come connessione, come “empatia reciproca”, allora le cose cambiano. Si tratta della possibilità di condividere intuitivamente gli obiettivi, di rendere reciproco e rigoglioso il sentire emotivo, di mantenere vitali e dinamiche le relazioni. È in questo tipo di empatia reciproca che risiede la motivazione alla cooperazione e alla negoziazione. Non è solo l’espressione di un singolo, ma un sentire l’emotivo che appartiene alla relazione, al gruppo.
Come si può coltivare questo aspetto nelle relazioni, sia all’interno del proprio gruppo di lavoro, sia con i clienti?
Attore principale in tutto questo è il corpo (inteso non solo come movimenti e gesti, ma anche come voce). Da sempre l’essere umano entra in sincronia con i corpi altrui. Essere in sincronia significa condividere lo stesso ritmo. E il ritmo è fortemente intriso di emozioni. Se siamo in ansia, i ritmi accelerano (cuore, eloquio, movimento delle gambe ecc.); se siamo tranquilli, i ritmi decelerano, solo per fare due esempi.
La sincronia di ritmi corporei (movimenti, voci, respiri…) è la forma più antica di adeguamento agli altri, presente nei nostri antenati e nei neonati, e si fonda sulla capacità di far propri i movimenti altrui. Un esempio comune è quello dello sbadiglio: se vediamo qualcuno sbadigliare, facilmente lo faremo anche noi (qualcuno inizierà a sbadigliare anche solo leggendo la parola sbadiglio e immaginandosi la persona fare questo atto). Oppure prendiamo lo stesso ritmo di eloquio e lo stesso accento delle persone con cui stiamo tutto il giorno. Si tratta sempre di una imitazione automatica che è la base dell’empatia reciproca.
Quando impariamo (o insegniamo) qualcosa è fondamentale l’empatia reciproca, intesa come vedere concretamente, perché per imparare è importante potersi immedesimare nel corpo di un altro.
Il corpo produce sensazioni interne, sulla base delle quali costruiamo i rapporti sociali. La risonanza tra corpi, che è in fondo un’imitazione, rafforza i legami. Ridere insieme, mangiare insieme, battere le mani insieme, fare “cin cin” con i bicchieri insieme, ballare insieme, guardare nella stessa direzione, andare allo stesso ritmo lavorativo… sono tutte sincronie, che sottendono un’empatia reciproca.
Un buon gruppo di lavoro è un gruppo che sa stare insieme in questo modo sincronizzato, specialmente durante i momenti stressanti. E il vedersi anche di persona ne è la base, perché il cervello è strutturato per creare empatia a partire dai corpi.
Questo non significa rifiutare tutto ciò che accade “online”, ma certamente non dobbiamo dimenticare che la presenza corporea attiva molto più rapidamente i circuiti cerebrali deputati all’empatia reciproca.