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Egitto: stato fragile che va aiutato

Egitto: stato fragile che va aiutato

L’Egitto è uno stato fragile in questo momento che va aiutato. L’antica terra dei faraoni non è, per fortuna, interessata da crisi così drammatiche come  quella siriana o libica, però non può dormire sonni tranquilli.

Innanzitutto vige un regime che, dopo la deposizione del presidente Morsileader della Fratellanza Mussulmana, massima espressione dell’islam politico militante, ha limitato le garanzie democratiche e imposto un rigido controllo  militare. Sono le Forze Armate a detenere oggi il potere non un organismo politico eletto dal popolo.

Il recente caso dell’omicidio del giovane ricercatore italiano Regeni, seppur non possa ancora dimostrare un coinvolgimento diretto del regime, racconta, però, di una situazione sociale e politica molto tesa e molto rischiosa

L’Egitto, poi, vive una situazione economica difficile e dipende pesantemente dagli aiuti finanziari concessi dall’Arabia Saudita, dal Kuwait e dagli Emirati Arabi. Senza di essi, al momento, il paese non sarebbe in grado di garantire gli standard minimi di benessere per il proprio popolo.

Infatti, le sue primarie entrate dipendono da attività che stanno arrancando: il turismo è fortemente in crisi dopo gli attentati che ne hanno minato, agli occhi occidentali, la sicurezza. Il già citato caso dell’omicidio Regeni e le ombre attorno ad esso hanno ulteriormente rafforzato questa sensazione.

Una seconda fonte importante di ricchezza è data dal petrolio e dagli idrocarburi. L’Egitto ha riserve stimate in 4,4 miliardi di barili di greggio e con i suoi 77 miliardi di metri cubi di gas è il 4° paese africano per quantità.

Eppure il perdurare dei bassi prezzi del petrolio sta causando una sensibile diminuzione delle entrate.
La terza entrata principale, insieme all’agricoltura, è il canale di Suez. Nel 2014  sono transitate 16744 navi per un totale di 784 milioni di tonnellate di merci. Di queste oltre 160 milioni dirette verso i porti del mediterraneo (la maggior parte italiani).

Questa attività ha portato nelle casse egiziane 5,5 miliardi di dollari cifra che, si stima, possa raggiungere nei prossimi 10 anni, gli 8/9 miliardi con la piena attività del raddoppio del canale i cui lavori, è questo il caso di dirlo, faraonici sono appena terminati.

Questa è l’unica attività che, per ora, non ha subito un declino ma su di essa incombe la minaccia del terrorismo jihadista. Infatti, l’Egitto combatte una guerra a bassa intensità contro diverse organizzazioni terroristiche di matrice islamica che mirano ad abbattere il regime attuale.

Per ora questa lotta è concentrata nella penisola del Sinai, dove intere zone e villaggi sono sottratti al controllo statale e in mano alle formazioni integraliste.

La più attiva e pericolosa al momento è Jamaat Ansar al Bayt Maqdis o Partigiani di Gerusalemme, nata ufficialmente nel 2012 il cui leader al Masri intrattiene rapporti con il network di al Qaida e ha dichiarato fedeltà al califfo dello Stato Islamico.

Questa formazione, insieme ad altre minori, ha organizzato decine di attacchi e attentati contro le forze armate egiziane, funzionari governativi, oleodotti e gasdotti, con l’obiettivo dichiarato di minare la stabilità dello stato.

L’intelligence egiziana sa, ormai da tempo, che il prossimo obiettivo jihadista è proprio il canale di Suez. Minando la sicurezza dei transiti, i leader terroristici sanno che si danneggerebbe un settore strategico per l’economia del paese creando un danno, forse, non reversibile.

L’Italia è fortemente interessata alla stabilita del paese e molti dei suoi sforzi diplomatici sono indirizzati verso questa terra. Questo per ragioni geopolitiche ed economiche. 

Oltre alla vicinanza alle nostre coste e all’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, l’Egitto gioca un ruolo fondamentale nei tentativi di gestione della crisi libica, altra drammatica realtà che a noi preme molto.

Inoltre l’Italia è il primo partner commerciale europeo; il 6,7% delle esportazioni sono verso il nostro paese che, inoltre, detiene strategici accordi energetici per lo sfruttamento delle risorse petrolifere e degli idrocarburi.

È nostro dovere non lasciare l’Egitto da solo in questo difficile momento, rimanendo fermi affinché non prenda derive ulteriormente autoritarie e ricordando alle autorità l’importanza della tutela e rispetto dei diritti umani ma aiutandolo a uscire da questo periodo di crisi evitando così il pericolo che si faccia trascinare in situazioni ben più drammatiche da seguire.

Con i suoi 98 milioni di abitanti sarebbe cosa ben più grave di tutte le crisi attualmente in corso.

di Luca Puleo

Chi è Luca Puleo

Studioso e scrittore di storia contemporanea del conflitto arabo israeliano e docente alla Scuola Internazionale Etica & Sicurezza de L’Aquila sulle tematiche della sicurezza e delle relazioni internazionali e della gestione dell’emergenza. 

E’ istruttore e formatore AREU (Azienda Regionale Emergenza e Urgenza – Lombardia).

 

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