Endpoint Privilege Security: pilastro invisibile per una difesa completa contro le minacce

In un contesto di minacce informatiche sempre più sofisticate, le aziende si trovano a dover affrontare un’ampia varietà di attacchi, dai ransomware al furto di credenziali, che mettono a rischio la loro sicurezza. Sebbene le soluzioni di sicurezza tradizionali come antivirus, firewall e sistemi di Endpoint Detection and Response (EDR) restino fondamentali, emerge una lacuna critica nella strategia difensiva di molte aziende: la gestione dei privilegi sugli endpoint.
Questo è il punto focale su cui si concentra l’Endpoint Privilege Security (EPS), una componente spesso ancora sottovalutata, ma essenziale per blindare realmente la propria infrastruttura. Nel seguente articolo, Paolo Lossa, Country Sales Director di CyberArk Italia, esplora il paradosso della sicurezza tradizionale e come una gestione oculata dei privilegi possa migliorare drasticamente la sicurezza degli endpoint, prevenendo danni derivanti da attacchi che eludono i sistemi di difesa tradizionali.
Il paradosso della sicurezza tradizionale
“Quando si pensa alla sicurezza degli endpoint – sottolinea Lossa – la mente corre subito a strumenti che rilevano e bloccano il malware o monitorano attività sospette. Si tratta di soluzioni eccellenti nel loro compito di identificare le minacce una volta che si manifestano, che però lasciano irrisolto un altro problema, ugualmente grave: cosa succede quando un attaccante riesce a eludere queste difese iniziali. La domanda cruciale da porsi è quindi: cosa impedisce a un malintenzionato di dilagare indisturbato una volta superato il perimetro di sicurezza? La risposta risiede proprio nella gestione dei privilegi.
Lezioni che arrivano dal campo di battaglia digitale
La storia recente è costellata di esempi lampanti che dimostrano questa vulnerabilità. Pensiamo al ransomware BlackByte, capace di disabilitare oltre mille driver su cui si basano le soluzioni EDR, o all’attacco SolarWinds, che è rimasto inosservato per mesi, iniettando codice malevolo in applicazioni legittime senza lasciare tracce rilevabili. Casi come l’attacco a CircleCI, dove il furto di credenziali da un singolo laptop ha aperto le porte a segreti aziendali, o l’incidente di Uber, dove una semplice truffa di phishing ha permesso di accedere a sistemi critici, evidenziano un filo conduttore comune: un accesso elevato e non sufficientemente controllato.
In tutti questi scenari, gli attaccanti hanno sfruttato privilegi eccessivi o credenziali rubate per bypassare le difese esistenti, dimostrando che anche le soluzioni più avanzate possono essere aggirate se l’accesso ai sistemi non è rigorosamente controllato. Una corretta implementazione dell’EPS avrebbe potuto prevenire, o quantomeno contenere drasticamente, i danni in ciascuno di questi incidenti.
EPS, una sicurezza basata sull’accesso
A differenza delle soluzioni tradizionali basate su un giudizio di merito, l’EPS opera su un principio diverso, quello della sicurezza basata sull’accesso. Non si tratta tanto di rilevare un attacco, quanto di definire in modo specifico ‘chi può accedere a quali risorse e cosa può eseguire’ su un determinato endpoint. Questo significa controllare l’accesso a livelli profondi di sistema operativo, memoria, file e applicazioni, con l’obiettivo di impedire che un utente, o un processo che agisce per suo conto, possa compiere azioni non autorizzate, anche se l’account è stato compromesso.
I pilastri fondamentali dell’EPS
L’implementazione pratica dell’EPS si basa su principi chiari e diretti. Il primo passo, spesso trascurato, è la rimozione dei privilegi di local admin da tutti gli utenti. Nessuno dovrebbe avere diritti di amministratore sul proprio dispositivo, a meno che non sia strettamente necessario per la sua funzione, in modo tale da ridurre drasticamente la superficie di attacco.
Il secondo principio, e forse il più importante, è l’applicazione rigorosa del principio del minimo privilegio, in cui ogni utente, sia esso umano o macchina, deve avere solo ed esclusivamente i privilegi minimi indispensabili per svolgere le proprie mansioni. Questo concetto, fondamento del modello Zero Trust, parte dal presupposto che una violazione sia inevitabile. In tal caso, limitare i privilegi significa contenere il danno: se un account viene compromesso, l’attaccante non potrà muoversi liberamente nell’infrastruttura, incontrando ostacoli ad ogni tentativo di escalation o movimento laterale.
Infine, l’EPS gioca un ruolo cruciale nella difesa di credenziali, cookie e token di sicurezza. Questi elementi sono spesso il bersaglio primario degli attaccanti, poiché consentono l’accesso a risorse preziose. L’EPS introduce barriere protettive che impediscono a programmi malevoli di accedere a questi dati sensibili, anche se eseguiti da un utente standard.
In sintesi, l’Endpoint Privilege Security non è più un lusso, ma una necessità. Rappresenta una difesa proattiva che colma le lacune lasciate dalle soluzioni di sicurezza tradizionali, offrendo un livello di protezione fondamentale dalle minacce più insidiose. Ignorare la gestione dei privilegi sugli endpoint significa lasciare una porta aperta ai cybercriminali, mettendo a rischio l’intera organizzazione. È tempo che le aziende la riconoscano come un pilastro irrinunciabile della propria strategia di cybersecurity”, conclude Lossa.












