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Energia, terre rare e i conflitti del domani

Biagino Costanzo

In questi giorni il tema delle terre rare è diventato più cogente. Da quando il Presidente USA Donald Trump ha dichiarato di mirare alle terre rare, a titolo di risarcimento per le risorse USA impegnate nel conflitto in questi tre anni in Ucraina, la Cina simultaneamente, ha annunciato nuove mirabolanti estrazioni delle stesse sul suo vastissimo territorio.

È noto che a livello mondiale il rischio della dipendenza dalla Cina sulle cosiddette terre rare non pone problemi solo di natura geopolitica, ma anche ambientale: la loro estrazione non è sempre portata avanti in modo sostenibile, anzi!

Il tema della “terre rare”, o REE (rare earth elements), è argomento di vasta attualità, ma solo da qualche tempo se ne parla sempre più spesso e tali terre rare entrano in modo preponderante in questa nuova guerra commerciale che si intravede all’orizzonte. Sul tavolo vi è anche il tema dei dazi, quindi lo scontro con la Cina potrebbe scatenare una nuova raffica di guerre per procura nel cosiddetto Global South come ai tempi della Guerra Fredda. Ma in gioco davvero vi è qualcosa di più serio e delicato: la ricerca di energia e lo scontro, oggi parcellizzato, domani può divenire globale e il tutto si gioca proprio sull’energia.

La ricerca di energia e le terre rare

Infatti, oggi tutto ruota su questo, dai superconduttori ai microchip, dai magneti alle fibre ottiche, dai laser agli schermi a colori: è quel che serve a dominare il mondo di oggi e di domani, ma nel contempo la popolazione mondiale aumenta e di conseguenza le esigenze e il consumo di energia. Se incrociamo questo con l’avvento massivo dell’Intelligenza Artificiale ben si comprende cosa ci attende.

Secondo una ricerca dell’Università di Amsterdam, entro il 2027 i data centers che alimentano l’AI potrebbero consumare tra 85 e 134 terawattora di energia all’anno, equivalente addirittura al consumo di intere nazioni come l’Argentina, Brasile o i Paesi Bassi. Si tratta di cifre davvero impressionanti, che equivalgono a circa lo 0,6% del consumo energetico globale. E questo non deve meravigliarci: la tecnologia richiede un impiego massiccio di energia e la principale ragione sembra essere la potenza dei server che devono essere utilizzati per alimentare l’intelligenza artificiale, per loro natura altamente energivori.

Il Prof. Verdecchia dell’Università di Firenze, ha sottolineato l’importanza di considerare l’impatto ambientale dell’IA insieme alla sua precisione e velocità, seguendo magari l’esempio della California, dove le normative sulla divulgazione climatica potrebbero presto mettere sotto pressione le aziende di IA, come OpenAI e Google, obbligandole a rivelare la loro impronta di carbonio.

Da quando le transizioni, reali, quella ecologica e quella digitale sono un refrain quotidiano, di terre rare se ne discute: infatti, si dice che sono essenziali per la tecnologia di ultima generazione e che le grandi potenze se le contendono, ed entrambe le cose sono vere.

Inoltre, se esaminiamo il settore della difesa, i materiali strategici e critici assicurano l’espansione della produzione e dello sviluppo anche di beni militari e la conduzione delle operazioni delle forze armate; basti pensare, ad esempio, che un caccia F-35 contiene circa 420 kg di REE e questi sono essenziali per i missili guidati.  Si prevede che la loro domanda aumenterà nei prossimi due decenni, soprattutto perché il mondo si sta muovendo per eliminare le emissioni nette di carbonio entro il 2050.

Cosa sono le terre rare?

Con il termine “terre rare” si fa riferimento a dei metalli e, per essere precisi, sono 17 elementi chimici: lo Scandio, l’Ittrio e altri quindici metalli, tutti e quindici “lantanoidi”. I nomi sono: Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio.

Anche se questi elementi continuano ad avere l’etichetta di terre rare, è dimostrato che poi così rari non sono. Basti pensare che persino la terra rara più rara, il Tulio, è 125 volte più comune dell’oro e quella meno rara, il Cerio, è 15mila volte più abbondante dell’oro.

Di certo la loro rarità era dovuta non tanto alla scarsa disponibilità, quanto all’enorme difficoltà di lavorazione ed estrazione del minerale puro. Ad esempio, uno di questi metalli, il Cerio, è diffuso sulla terra quanto il rame, eppure quest’ultimo è considerato un elemento comune. Nonostante il big bang abbia regalato alla Cina una buona percentuale dei giacimenti terrestri, si stima che lo stato asiatico abbia solo il 38% di questi giacimenti: il resto è sparso ovunque nel mondo.

Terre rare e settori strategici

Una cosa è certa: questi metalli sono essenziali per produrre alcune delle tecnologie più importanti per i settori strategici, e non solo per quelli che lo sono al giorno d’oggi, ma soprattutto per quelli che lo saranno nel prossimo futuro, come, ad esempio, per la tecnologia militare e aerospaziale e per la componentistica per pannelli fotovoltaici ma sono indispensabili anche per produrre le batterie ricaricabili e quindi per gli smartphone, i computer, i tablet, le auto elettriche e ibride, i monopattini elettrici, per gli strumenti utili negli impianti petrolchimici oppure per i dispositivi elettronici, compresi quelli utili in campo medico, per gli schermi Lcd, i nuovi televisori, le memorie dei PC, i generatori di turbine eoliche, etc.

E non vi è alternativa all’uso di questi metalli, almeno al momento. Rappresentano infatti uno di quei nodi delle catene del valore, come i microchip, i semiconduttori, in cui siamo in svantaggio rispetto all’Oriente. Eppure, come dicevo all’inizio di questa riflessione, le terre rare sono utili anche per la transizione ecologica, per produrre la tecnologia necessaria a produrre le pale eoliche da utilizzare offshore e per la produzione di impianti per l’energia solare.

Il paradosso

Qui interviene un enorme paradosso. Si è voluto intraprendere la cd rivoluzione green usando queste alternative? L’insostenibilità sia ambientale che, direi, sociale del processo di estrazione delle terre rare è davvero un immenso problema. Infatti, l’estrazione implica un elevato degrado ambientale, nonché rischi per la salute e contaminazione del suolo e delle acque. E ovviamente, in moltissimi casi, vi è anche la questione del lavoro minorile e dello sfruttamento della manodopera a basso costo, in poche parole parliamo di schiavismo.

È noto che oggi la transizione ecologica passa per l’elettrificazione di ciò che oggi funziona con i combustibili fossili, le auto, ma anche per queste, i metalli rari devono essere massicciamente utilizzati per la costruzione dei loro motori o per tutte le apparecchiature di bordo.  Insomma, per tutta la cosiddetta tecnologia green le terre rare la faranno da padrone, dai pannelli fotovoltaici appunto alle auto elettriche che, come abbiamo già ribadito, saranno in forte crescita nei prossimi anni. Tutto questo porterà ad un grande impatto ambientale coniugato alla crescita della popolazione; quindi, urgono soluzioni sostenibili ma per davvero. È necessario ricordare che il problema nell’industria mineraria si evince nelle varie fasi di estrazione prima e di raffinamento poi, passando attraverso vari stadi che coinvolgono sia acidi che filtraggi, quindi, causano scarti molto tossici e necessitano di un consumo enorme di acqua.

Quindi tra gli effetti peggiori che si possono riscontrare, si segnala la formazione di pozzi di assorbimento, l’erosione del suolo, l’inquinamento idrico e la perdita di biodiversità. Si è calcolato che solo la lavorazione di una tonnellata di metalli delle terre rare produce circa 2.500 tonnellate di rifiuti tossici. Ecco perché è di fondamentale importanza il riciclo di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche: in questo modo elementi come le terre rare possono essere gestiti correttamente, riciclati e immessi in nuovi cicli produttivi, senza la necessità di nuove estrazioni dal suolo.

Ulteriore paradosso

Ed ecco un altro paradosso: non solo i movimenti ambientalisti ma, oramai, gran parte della collettività mondiale, a causa dell’effettivo cambiamento climatico, chiede la chiusura di miniere e luoghi estrattivi, causa di inquinamento di acqua, terra ed aria circostanti. Ma l’alta tecnologia spinge la nostra quotidianità e l’economia mondiale, e per far progredire la stessa servono le terre rare che, per l’estrazione e la lavorazione delle stesse, impattano in modo sostanziale la salvaguardia di tutto l’ambiente.

Alternativa possibile potrebbe essere l’uso di biotecnologie e tecnologie biogeochimiche in modo da estrarre senza gli attuali rischi ambientali attuali. Altra soluzione potrebbe essere quella del riciclo, che però non risolverebbe immediatamente il problema, dato che al momento solo l’1% dei RAEE viene riciclato. Sarebbe necessario, per non essere dipendenti dalle terre rare, diversificare le fonti, ridurre il loro impiego e appunto puntare sul riciclo.

Analisi dello stato attuale

La verità, però, è che parliamo di metodi che di sicuro avrebbero una buona resa in termini di costi energetici e di sostanze chimiche nocive, ma che non sono ancora in grado di sostituire la tecnologia attuale.

Moltissime terre rare pesanti del mondo provengono da depositi cinesi come quello di Bayan Obo, anche se miniere illegali di terre rare sono comuni nella Cina rurale e sono note per rilasciare rifiuti tossici nelle risorse idriche. Per evitare carenze e il monopolio cinese sono state cercate altre fonti di terre rare, specialmente in Sudafrica, Brasile, Vietnam, Canada e Stati Uniti. Una miniera di terre rare in California è stata riaperta nel 2012, mentre altri siti importanti sono quelli canadesi di Thor Lake nei Territori del Nord-Ovest e del Québec. In linea di massima, la maggior parte della fornitura attuale di ittrio si origina da depositi di argille della Cina meridionale e quindi forniscono concentrati contenenti circa il 65% di ossido di ittrio.

È chiaro che, l’interesse per i REE è cresciuto insieme all’evoluzione tecnologica e alla transizione energetica ma la dipendenza mondiale da questi materiali porta con sé varie problematiche legate ai processi estrattivi e produttivi che rientrano, ad oggi, in una sorta di “quasi monopolio” cinese, cresciuto fino alla crisi del 2010, quando le economie più avanzate hanno iniziato a cercare alternative all’import dei REE dalla Cina.

Dalla metà del 2011 cominciarono ad arrivare restrizioni sia per ragioni ambientali sia di predominio e la Cina cominciò a restringere le esportazioni, con una legge che permette anche di limitare l’esportazione di terre rare nei confronti di quei Paesi che minacciano gli interessi della nazione. Di fatto, oggi la produzione di REE è in mano a quattro paesi con Cina (59%) e Stati Uniti (17%) che ne rappresentano la maggioranza produttiva. In particolare, per quanto riguarda l’Unione Europea, la dipendenza dalla Cina per le Terre rare e altre materie prime è sotto gli occhi di tutti.

Si ripete quello già visto con il gas russo e ancora una volta si rischia davvero di arrivare tardi, sia nell’approvvigionamento che ad un’emancipazione possibile dal largo utilizzo di REE.

Nel secolo scorso la popolazione umana è cresciuta esponenzialmente e le previsioni indicano un ulteriore incremento che ci porterà fino a nove, dieci miliardi di esseri umani entro il 2050. Questa crescita è stata accompagnata da un crescente aumento del progresso tecnologico e quindi del consumo indiscriminato delle risorse naturali. Tuttavia, le difficoltà di recupero e riciclo di questi materiali si scontrano con gli obiettivi per un’economia circolare che rientrano in Agenda 2030 e nel Green Deal.

Insomma, tutto questo è motivo di attenzione massima perché riguarda il mantenimento degli equilibri geopolitici e della sicurezza nazionale. Per garantirsi prosperità e crescita nel lungo periodo, siamo obbligati a cercare un punto di equilibrio tra i classici meccanismi di mercato e il perseguimento di adeguati livelli di sicurezza degli approvvigionamenti nelle filiere più strategiche, tenendo anche conto della sostenibilità ambientale dei processi di consumo nazionali e transnazionali.

Conclusione

A conclusione segnalo l’interessante intervista, di qualche giorno fa al Foglio, dell’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Draghi, Roberto Garofali che tra le altre ha affermato che: Abbiamo rifatto le mappe delle nostre miniere. L’ultima mappa risaliva al 1973. Non è vero, come si dice, che l’Italia è povera. Abbiamo anche noi terre rare, abbiamo cobalto, litio, ma non sappiamo neppure di possederli. Gli iscritti alla facoltà di ingegneria mineraria sono pochissimi. Sono grandi questioni di sicurezza nazionale”

Ebbene, cosa aspettiamo? Lo so, è complesso in un Paese tra movimenti NO A TUTTO e intrecci burocratici, tra i tanti permessi da concedere, dal demanio alla provincia, dal Comune alle Regioni, dagli uffici paesaggistici alle sovrintendenze etc. , ma se abbiamo fatto una disamina di quel che significa possedere anche un minimo di queste materie così preziose, non sarebbe il caso di programmare, sburocratizzare, velocizzare, progettare , individuare, estrarre, insomma, di fare qualcosa?

BIAGINO COSTANZO

È un Manager italiano con esperienza più che trentennale nel campo economico, legale, della sicurezza e della governance aziendale.
Executive, già componente CdA aziende multinazionali, è stato anche, negli anni e per più Governi, consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha lavorato per i Gruppi Eni ed IBM. Oggi è dirigente di una grande azienda privata. È docente universitario a contratto in Scienze Forensi e Criminologiche per la difesa e la sicurezza in Master e Corsi di specializzazione universitari.
Negli anni ha ricoperto ruoli nazionali direttivi in ambito culturale, associazionistico, politico e nel volontariato. È consigliere scientifico del CSE-HERMES (Centro Studi Europeo) e di Coopera Venture Capital, Presidente dell’Associazione Knosso (Knowledge for a Safe and Secure Organization), già membro del consiglio direttivo di AIPSA. È stato insignito dal Presidente della Repubblica di Onorificenza ”Al merito della Repubblica Italiana”.
Autore di numerose pubblicazioni tecniche, nel 2018 ha pubblicato il saggio SALIGIA (l’evoluzione inciampa ancora), Bastogi Editore. È recente il saggio  Il Cigno è grigio (Catrovacer, cerca, trova, pre-vedi) edito da Rubbettino per la collana editoriale “Intelligence e sicurezza” della Fondazione ICSA.  

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