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Gestione delle crisi o crisi di gestione?

Specializzazioni Security

Gli esperti del settore consigliano, in una situazione di crisi, di non commettere l’errore di sottovalutarla; una crisi, se davvero di crisi si tratta, può rappresentare per un’azienda un’opportunità per migliorare, per imparare dai propri errori, ma può  anche rappresentare un pericolo che, se non viene gestito adeguatamente, può ampliarsi e portare alla perdita della credibilità, della reputazione, della fiducia e, non di rado, al fallimento.

Da tempo è invalsa l’abitudine di abusare del termine di crisi. Eventi definibili come emergenze, problemi o incidenti, sono spesso scambiati per crisi, ma a differenza di queste ultime essi sono considerati eventi abituali, risolvibili con i mezzi a disposizione. Può definirsi crisi, invece, una situazione nella quale lo straordinario deborda. Possono causare una crisi: disastri naturali, l’errore umano, un guasto meccanico, una débâcle tecnologica, riorganizzazione o licenziamenti, problemi di comunicazione interna, etc.

G. Vecchiato e L. Poma affermano: “È la percezione della presenza di un problema che rende reale la crisi stessa”. Un ruolo importante nella percezione pubblica della crisi lo giocano i media, capaci di orientare la percezione pubblica del rischio e il modo in cui un evento potrebbe evolversi o trasformarsi.

L’analisi di tre casi emblematici di crisi

Analizziamo i tre casi più emblematici e paradigmatici, a nostro avviso, degli ultimi 15 anni: l’esplosione della Deepwater Horizon,  il naufragio della Costa Concordia, il crollo del Ponte Morandi.

Deepwater Horizon

Il 20 aprile 2010 126 lavoratori della Deepwater Horizon (affiliata alla British Petroleum) sono al largo della costa della Lousiana su una piattaforma trivellatrice semisommergibile quando si trovano immersi nel peggior scenario possibile: una devastante esplosione, che causa un inferno di fuoco, 11 vittime e uno sversamento di greggio nell’Oceano Atlantico riconosciuto come il più grave disastro ambientale della storia (ben oltre 800.000 tonnellate di petrolio!). Quello della Deepwater Horizon non è il solo disastro petrolifero in mare che la storia annoveri, ma certamente il più recente e il più grave. Ve ne sono stati altri, come quello accaduto nel 1979 alla piattaforma petrolifera messicana Ixtoc I, o quello avvenuto nel 1989 alla Exxon Valdez. Ma nessuno di questi detiene anche la maglia nera per la comunicazione. L’incidente alla Deepwater Horizon, infatti, è divenuto un vero e proprio case study: un modello di comunicazione al contrario ovvero come non si deve comunicare durante una crisi, a cominciare dalle strampalate esternazioni dell’Amministratore Delegato, ruolo allora ricoperto da Tony Hayward (01.05.2007-01.10.2010), un crescendo parossistico di estemporaneità, di seguito fedelmente riportato: “Cosa diavolo abbiamo fatto per meritarci tutto questo?” (29 aprile), “Non è stato un incidente provocato da noi, anche se è nostra responsabilità risolvere il problema della perdita” (3 maggio), “Il Golfo del Messico è tanto grande. La quantità di petrolio è piccola rispetto al volume totale dell’acqua” (14 maggio), “L’impatto ambientale di questo incidente sarà minimo” (17 maggio), “Nessuno vuole che tutto questo finisca più di me. Rivoglio indietro la mia vita” (30 maggio). Affermazioni che rimarcano la totale impreparazione e l’inadeguatezza di Hayward come comunicatore-gestore della crisi (effetto c.d. foot-in-the-mouth).

Tre i macro-errori commessi dalla BP nella comunicazione:

  1. rassicurazioni eccessivamente ottimistiche. Le stime elaborate da BP relativamente alla quantità di greggio riversato ogni giorno nel Golfo vengono corrette ripetutamente al rialzo, mentre quelle di greggio recuperato corrette al ribasso. Solo a luglio BP adotta una politica comunicativa improntata a un sano realismo;
  2. contrizione scarsamente credibile. La dichiarazione di Tony Hayward del 18 giugno: “L’esplosione e l’incendio a bordo della Deepwater Horizon e il conseguente rilascio di petrolio nel Golfo del Messico non sarebbero mai dovuti accadere e sono profondamente dispiaciuto che si siano verificati” oltre a non essere sufficiente a placare gli animi assetati di giustizia, non appare neppure un atto sincero. Le scuse per sembrare vere e convincenti impongono il senso della vergogna e del pentimento, immediata e piena assunzione di responsabilità, non il mero rammarico. Affermare, come fece Hayward, di voler comunque attendere la conclusione delle indagini giudiziarie prima di accollarsi delle colpe depose a sfavore, aggravando oltremodo l’immagine e la reputazione già pesantemente compromesse;
  3. scarsa compassione e determinazione. Compassione nei confronti di chi è stato danneggiato, determinazione nel voler porre rimedio. Su entrambi i fronti la BP ha maldestramente tentato fallendo.

A seguito di tutto questo, la capitalizzazione di BP a Wall Street si dimezza in soli 50 giorni, precipitando da 60 a 29 dollari. Per tornare ai livelli precedenti impiega ben 4 anni. Oggi si attestano sui 37 dollari. Il costo complessivo sostenuto tra multe, risarcimenti e spese legali è di 65,1 miliardi di dollari.

Costa Concordia

Il 13 gennaio 2012, 4.229 persone viaggiano a bordo della nave da crociera Costa Concordia che urta contro un insieme di scogli posizionati davanti all’Isola del Giglio. La manovra azzardata causa uno squarcio sullo scafo di 70 metri e il conseguente rallentamento della navigazione e incaglio dello scafo sul basso fondale con parziale sommersione della nave. L’incidente si aggrava anche per il ritardo nell’inviare l’allarme. 32 passeggeri perdono la vita, 157 i feriti. Ai contorni della tragedia greca si sono aggiunti anche i colori della commedia napoletana: il mondo intero ricorda ancora oggi la grottesca telefonata tra il capitano della Costa Concordia, Francesco Schettino e il Comandante Gregorio de Falco, in servizio presso la Capitaneria di Porto di Livorno. Una pièce teatrale degna del miglior De Filippo di cui la rete, ad imperitura memoria, serba traccia audio integrale. Tuttavia, in questa sede non sarà analizzata la condotta di Schettino (condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione), la dinamica dei fatti, i protocolli di sicurezza in vigore sulla nave o le operazioni di salvataggio dei naufraghi, ma la comunicazione della Compagnia di navigazione, con i suoi meriti e le sue contraddizioni. La “retorica contrastiva” adottata (cioè volta a creare l’opposizione tra l’azienda e l’individuazione del soggetto accusato, il Comandante Schettino) ha consentito di produrre un distacco dalle responsabilità sottolineando come l’incidente non costituisca un problema sistemico della compagnia. Pochi giorni dopo il naufragio, l’Amministratore Delegato di Costa Crociere, Pier Luigi Foschi, rilascia un’intervista al Corriere della Sera in cui nel mostrarsi profondamente addolorato (“il momento di dolore peggiore dopo la morte di mia madre”) fa esplicito riferimento al “fattore umano” che, nonostante tutti gli sforzi profusi per una corretta pianificazione e gestione dei rischi, spariglia sempre tutto. Lo apostrofa senza mezzi termini: “il fesso”. Un fesso (il capitano Schettino) da cui Costa Crociere si dissocia immediatamente venendo meno alla prima regola di un’emergenza e di una crisi: l’assunzione di responsabilità e vicinanza alle vittime e ai familiari, non a se stessi. Un atteggiamento che successivamente verrà definito: “Costacentrico”.

A poche ore dal naufragio il titolo perde il 23% in borsa, i costi immediatamente stimati dal proprietario della società (considerando il mancato profitto) sono tra gli 85 e i 95 milioni di dollari, quelli legati alla demolizione oltre 100.

Ponte Morandi

Il 14 agosto 2018 una sezione di 250 mt del viadotto Polcevera di Genova (conosciuto come ponte Morandi), costruito nel 1967, crolla improvvisamente per quasi 100 mt di altezza. Al momento del crollo sul viadotto erano presenti 35 autovetture e 3 camion. 43 i morti, 16 i feriti e 566 gli sfollati. Nelle comunicazioni l’azienda ha ritenuto opportuno trasmettere per primo l’importanza delle manutenzioni fatte fino ad allora per poi trasmettere nel secondo comunicato stampa il cordoglio ai famigliari delle vittime. Errore imperdonabile. E come se questo non bastasse, la prima conferenza stampa è stata fatta addirittura quattro giorni dopo il crollo del ponte, il 18 agosto 2018, oltretutto nello stesso giorno dei funerali di Stato! Secondo grave errore. E, infine, il terzo: né l’Amministratore Delegato né gli altri rappresentanti aziendali hanno chiesto scusa o si sono assunti la responsabilità: “Non riteniamo ci siano le condizioni per assumersi responsabilità di un evento che deve essere accertato da parte della magistratura” – le stolide dichiarazioni rilasciate dall’AD Giovanni Castellucci in conferenza stampa. È proprio il tribunale dell’opinione pubblica ad aver determinato la perdita della reputazione e della fiducia nei confronti di Autostrade per l’Italia, del Gruppo Atlantia e della famiglia Benetton. Sebbene l’AD Castellucci abbia dichiarato di essere stato presente dopo il crollo del ponte, non ha evidentemente tenuto conto del fatto di doverlo comunicare. “Oltre a fare la cosa giusta, la cosa più importante è far sapere alla gente che stai facendo la cosa giusta” – ripeteva John D. Rockfeller.  L’azienda, inoltre, non ha rispettato la regola del c.d. golden hour, cioè comunicare entro la prima ora dai fatti. Il primo comunicato stampa è stato pubblicato dopo ben cinque ore dall’inizio della crisi senza oltretutto che fossero presenti elementi di “notiziabilità”, in particolare la sintesi dell’accaduto. I toni usati nei comunicati non sono apparsi adeguati, non è stata manifestata vicinanza ai famigliari delle vittime e agli sfollati. L’azienda non ha tenuto conto dell’aspetto più importante nella gestione della crisi e nella composizione dei messaggi che sono stati trasmessi: l’umanità. Probabilmente i contenuti dei messaggi trasmessi facevano parte del “valore aziendale”, ma non corrisponde al c.d. walk the talk aziendale, cioè passare dalle parole ai fatti, essere coerente alla propria vision e mission senza fare promesse.

Nei giorni immediatamente successivi al crollo, il Gruppo Atlantia ha perso circa il 25% in Borsa (18,18€ pa), con una perdita in termini di capitalizzazione di Borsa di più di 500 mln di €.

Cosa è fondamentale fare a livello comunicativo in caso di crisi?

Oggi rispetto al passato la complessità del contesto in cui le aziende operano è aumentata. Le tempistiche e le distanze si sono accorciate, portando ad un ampliamento del mercato. È fondamentale, dunque, scegliere accuratamente il canale attraverso il quale sarà trasmesso il messaggio, assicurarsi che il contenuto del messaggio sia chiaro e trasparente e che i toni siano moderati. Dovrà, inoltre, essere tempestivo e tenere conto delle emozioni degli interlocutori ai quali sarà trasmesso.

La crisi destabilizza il sistema aziendale, fa ridiscutere la mission e i valori aziendali, la reputazione acquisita e i rapporti con i propri stakeholders.

I processi (quelli che si celebrano nelle aule di tribunale) verranno molto al di là del tempo e non tengono conto di dichiarazioni rilasciate a caldo sotto la spinta delle emozioni.

Quindi, è completamente inutile preoccuparsi di quella che sarà la verità giudiziaria.

È più importante tutelare, con spirito di appartenenza, la reputazione.

Non è un caso che le più grandi tra le istituzioni e le aziende dispongano di unità di crisi, talvolta permanenti, deputate a gestire ogni evento capace di sviluppare situazioni di danno irreparabile per il Paese e le imprese. Valga per tutte le considerazioni sopra esposte, la geniale intuizione del comitato di crisi Volkswagen che nel 2015, indifferente al temporaneo disdoro dell’immagine aziendale legata al Dieselgate (scandalo sulle emissioni), ne magnificava la reputazione autodenunciandosi per un grave difetto costruttivo delle sue autovetture. La risposta del pubblico, rilevata da sondaggi e inchieste, rivelò come nella circostanza la reputazione dell’azienda ne abbia tratto giovamento, talché il temporaneo danno economico si è trasformato in conquista di nuove fette di mercato e incremento delle vendite. L’elemento fondamentale nel primo comunicato stampa fu l’empatia: la società esprimeva un profondo rammarico per i disagi causati alla clientela. Empatia, quindi. E questa è storia.

Cristhian Re

Security Manager con oltre venti anni di esperienza maturata nell’industria della difesa, dell’energia, delle multiutilities, della siderurgia e dei semi conduttori. Laureato in Scienze Politiche e in Lettere, Master of Arts in Intelligence and Security. In ambito professionale è certificato CBCI, PFSO, Lead Auditor ISO 9001, 37001, 22301, 27001, 20000-1. Articolista e membro del Business Continuity Institute Italy Chapter, del Comitato Scientifico della rivista S News e del Centro Interistituzionale di Studi e Alta Formazione in materia di Ambiente (CISAFA). Autore de “La misurazione della sicurezza” – (Ed. Bit.Book) e di “Introduzione all’analisi dei rischi” (Ed. Edisef). Ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri.

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