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Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala! Ha ancora senso lo sforzo nella smart society?

Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala! Ha ancora senso lo sforzo nella smart society?

La società in cui viviamo è stata definita dal sociologo Bauman “liquida”: senza punti di riferimento e certezze, senza una comunità che sostiene, nuotiamo spaesati in un mare dove tutti sono contro tutti, non si cammina più fianco a fianco ma l’individualismo regna sovrano, in un continuo precariato.

Aggiungiamo pure che la società in cui viviamo è quella del “tutto e subito” e a portata di mano, delle visioni a breve a termine, del problem solving immediato.

E’ una società “smart”, proprio come i nostri cellulari: da un lato la rapidità di accesso alle informazioni provenienti da tutto il mondo e la possibilità, con un clic, di risparmiare fatica e tempo, facilitano la vita. Dall’altro lato, ognuno nel suo mondo “smart” cerca di andare più veloce dell’altro, si appesantisce d’informazioni senza nemmeno chiedersi se siano utili, fondate o che senso abbiano, correndo tutto il giorno senza soffermarsi e scendere in profondità. L’esempio lampante di questo modo di vivere lo troviamo nel nostro uso di Dr. Google – così è capitato che lo battezzassero le persone che si rivolgevano a me, solo dopo aver consultato nel privato del proprio smartphone il celebre dottore tuttologo alla ricerca di risposte, quasi sempre mortifere….

Dr. Google offre soluzioni, connessioni immediate ma anche tante trappole. E quando non si trova via d’uscita le strade sono due: o si continua a cliccare sperando, prima o poi, che il tris vincente esca fuori, illudendosi nel frattempo di fare passi avanti senza sudare. O ci si ferma, si scende dalla Smartmobile per salire per un po’ su una macchina a pedali e riassaporare così il gusto dell’aria in faccia, i particolari dei paesaggi attraversati…e saranno i muscoli delle gambe a dettare il ritmo del viaggio.

Da piccoli quando ci dicevano “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!” un po’ ce la prendevamo, perché pedalare è faticoso, specialmente se tocca andare in salita, e poi quando si cade si sbucciano le ginocchia e le mani… Ma quanta gioia mettevamo in quel sentirci capaci di macinare metro su metro, lenti o veloci, con le mani sul manubrio o senza, da soli o in due e così via.

Ecco, in questa smart society sembra che abbiamo perso l’utilità della frustrazione, del fermarsi, del misurare le proprie risorse per capire fino a che punto spingersi, dell’aiutarsi per andare più veloce, grazie alla scia di chi è davanti o a una spinta di chi ci pedala a fianco, dell’attesa ad aspettare l’amico rimasto indietro, del fermarsi a riprendere fiato o semplicemente a prendere coscienza della strada percorsa e di quanta ancora ne rimane, del sentire che si è capaci di rialzarsi dopo la caduta, della fatica di una pedalata veloce o di una lunga biciclettata. Che fine hanno fatto oggi il tempo dell’attesa, il soggiornare nella frustrazione, il permettersi anche momenti “negativi”? Dov’è andata la fatica intesa come impegno e sforzo? Thomas Edison, celebre innovatore e inventore, non a caso disse: il genio è 1% ispirazione e 99% sudore!

Questo non significa non sfruttare le possibilità meravigliose di un mondo smart, ma ci aiuta a portare l’attenzione al rimanere sempre protagonisti di ciò che viviamo, senza pensare che “smart è bello”, mentre impegno e fatica, frustrazioni e cadute sono “brutti”. Già sui banchi di scuola i bambini pensano che chi fa meno fatica a studiare, passando poco tempo sui libri, sia più intelligente e andrà più lontano, mentre chi fa più sforzi e sembra doversi impegnare di più sia “stupido”, perché non raggiunge subito e bene il suo obiettivo. Questa mentalità si riversa poi nel mondo del lavoro, dove rapidità, risparmio di energie (e soldi) e immediatezza dei risultati sembrano delineare la strada dell’azienda vincente… dimenticandosi che forse sarà vincente ora, ma domani chissà.

Chiaramente non tutta la fatica è utile e necessaria, ma lo sforzo della pedalata è fondamentale per poter costruire realtà solide. La parola “sforzo” deriva etimologicamente da “forte”, che significa solido, massiccio,
resistente all’urto e all’usura: prendere la bicicletta e pedalare vuol dire imparare a conoscersi e a rafforzarsi, a sapere fi n dove si può reggere, ad attendere i risultati lavorando con fatica e poi goderne, a conoscere i limiti dell’altro e le risorse che possiamo condividere.

Le ricerche hanno mostrato che questo tipo di impegno influenza positivamente la capacità di attenzione, l’autostima, la capacità di regolare efficacemente le emozioni, di stare con se stessi e collaborare con gli altri, la capacità di far fronte agli eventi stressanti. Non è poco, no?

E allora, tornando al sottotitolo, certo che ha ancora senso lo sforzo nella smart society. E se per imparare una nuova procedura, immaginare un nuovo percorso lavorativo o raggiungere un obiettivo non siamo poi così smart, nulla di male: possiamo fermarci e accorgerci di chi ci sta intorno e insieme costruire (e il costruire non è mai senza fatica!) una quotidianità che valorizzi ciò che c’è e sappia far emergere ciò che ancora non c’è. Vivendo nel tutto e subito, senza fatiche e cadute, ci perderemmo tutto questo.

di Giulia Cavalli psicologa psicoterapeuta, psicoanalista

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