I modelli di integrazione tra Stati Europei e Comunità Musulmana. Focus sul rapporto sicurezza e tecnologia
La presenza islamica negli Stati europei ha radici profonde ma la sfida delle società multiculturali è quanto mai attuale.
È alla luce di questa consapevolezza e dell’emergenza migratoria che si rende necessario approfondire gli strumenti normativi posti in essere dagli Stati a maggioranza non musulmana per disciplinare il proprio rapporto con l’Islam.
Si tratta di strumenti che perseguono gradi e livelli di integrazione differenti ma che hanno uno scopo comune: regolare il rapporto Stato/comunità musulmana.
Dalla laicità francese, al multiculturalismo britannico, passando per le Intese italiane, ciò che qui rileva è un costante approccio di prevenzione: attraverso un maggiore o un minore livello di integrazione, lo Stato regolamenta e regolarizza la presenza dell’Islam sul proprio territorio.
Quadro normativo, integrazione e prevenzione diventano, così, concetti-chiave che assumono rilevanza sia a livello statale sia a livello sovrastatale: si considerino, a questo proposito, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’omonima Corte in particolare nel combinato disposto tra gli artt. 9 e 10 CEDU, rispettivamente inerenti la libertà di pensiero, coscienza, religione e la libertà di espressione.
L’applicazione dei principî delineati dalla Convenzione non è sempre pacifica.
Individuare, infatti, un punto di equilibrio che garantisca la soddisfazione di due diritti, spesso entrambi legittimi, ha rappresentato più volte una sfida per la Corte EDU.
Un esempio concreto: il diritto di libera scelta della donna musulmana di indossare il velo, da un alto, e la volontà dello Stato di garantire un assetto neutrale nonché scevro da declinazioni ideologico–religiose, dall’altro, hanno infervorato il dibattito in Francia circa l’utilizzo di burqa e niqab, alimentando una consistente giurisprudenza nazionale ed europea, si pensi al caso Kervanci vs France (2008).
Nonostante l’adozione di paradigmi e modelli d’integrazione alternativi, negli ordinamenti considerati il dibattito sul rapporto tra Stato e comunità musulmane si è sviluppato principalmente attorno a un principio considerato fondamentale: l’Italia, la sicurezza; la Francia, la laicità; la Gran Bretagna, l’uguaglianza.
Il filo rosso che lega le tre esperienze è il tentativo di armonizzare la presenza musulmana. In una realtà che impone sfide globali, diventa necessario, se non indispensabile, evitare derive securitarie per favorire una cultura della sicurezza e della prevenzione.
È proprio la cultura della prevenzione che potrebbe rappresentare la chiave di volta per affrontare ciò che sono diventate emergenze mondiali.
La tecnologia applicata al campo del telecontrollo del territorio è, senza dubbio, uno strumento indispensabile soprattutto, ma non solo, attraverso il continuo perfezionamento delle funzioni di video analisi: sempre più sofisticate e tecnologicamente avanzate.
Stazioni, scali aereoportuali, zone in cui si gestisce in maniera più diretta “l’emergenza migranti” e piazze sono solo alcuni esempi di luoghi in cui il quadro normativo deve intrecciarsi con lo sviluppo tecnologico al fine di affrontare quelle questioni che, senza prevenzione, sono diventate emergenze.
Ovviamente il riferimento non va alla gestione dei flussi migratori – argomento molto più complesso che non può ridursi a una tale semplificazione – ma certo è che il bisogno di sicurezza è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi anni. La tecnologia, in parte, può essere una risposta.
di Serena Viceconte,
Luiss di Roma e
Responsabile Relazioni Internazionali Globotel