S News incontra Carlo Hruby, Vice Presidente Fondazione Enzo Hruby.
Cronache recenti riportano notizie di recuperi in aumento, da parte delle forze dell'ordine, di beni culturali.
Se, da un lato, questo è decisamente un dato positivo, dall'altro il fatto stesso sta a sottolineare quanti beni, del nostro prezioso patrimonio artistico italiano, siano stati sottratti dalla malavita.
Quale la sua visione, da esperto di sicurezza e da vicepresidente della Fondazione Enzo Hruby, che proprio per la tutela dei beni culturali è stata costituita?
Lo scorso anno, nel mese di agosto, dalla chiesa modenese di San Vincenzo è stato trafugato un capolavoro del Guercino di valore inestimabile. Per mettere in sicurezza una chiesa come quella di Modena occorrono tra i 6 e i 10 mila euro, a cui vanno aggiunti 5-700 euro all’anno per la manutenzione del sistema. Oggi che il dipinto è stato rubato, quanto costerà allo Stato cercare di recuperarlo? Non è una questione di poco conto se si pensa che nel 2013 il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato 240 mila beni artistici e archeologici. I numeri importanti relativi ai recuperi ci danno il senso dell’eccellenza del lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine, ma ci devono indurre allo stesso tempo a ragionare sul concetto che mi piace definire “il costo della NON sicurezza” e sulla fragilità di cui, ancora oggi, è vittima il nostro patrimonio culturale, troppo spesso esposto al rischio di furto, vandalismo e danneggiamento. Accanto alla drammatica carenza di sistemi di sicurezza adeguati alla consistenza e alla capillare diffusione del patrimonio nel nostro Paese, in Italia stentano purtroppo ad affermarsi una corretta sensibilità e una giusta attenzione verso il tema della sicurezza, che finisce per assomigliare a Cenerentola, in quanto non le viene ancora riconosciuto il ruolo di primo piano, che le spetta, nell’ambito delle attività di tutela dei beni culturali.
Se questa è l'analisi, quali le possibili soluzioni?
Per delineare le soluzioni dobbiamo ricercare le cause di questa mancanza. Per prima cosa, nel nostro Paese, non è ancora avvenuta una capillare sensibilizzazione degli operatori dei beni culturali, la cui formazione di natura storico-artistica deve essere al più presto integrata con la conoscenza degli strumenti, che le attuali tecnologie offrono per la sicurezza e con un continuo aggiornamento. Un’altra grave mancanza è quella di figure professionali che abbiano competenze e ruoli specifici per la protezione del patrimonio. Nella maggior parte delle realtà, proprio perché manca una persona dedicata a tale compito, le attività legate alla sicurezza vengono associate ad altre come gli impianti elettrici, l’illuminazione, la climatizzazione. E la sicurezza rischia di passare in secondo piano, con tutte le conseguenze del caso.
In ultima analisi, tutti gli operatori del nostro settore devono imparare a comunicare in modo adeguato, anche verso il mondo esterno, le enormi potenzialità offerte oggi dalle più moderne tecnologie.
Ecco le soluzioni: formazione, assunzione di personale dedicato, aggiornamento degli impianti, costante manutenzione. Tutte queste operazioni hanno evidentemente dei costi, ma non devono essere considerati un onere, bensì il primo investimento per tutelare, proteggere e valorizzare il patrimonio culturale del nostro Paese.
E' partito da Vicenza il 30 gennaio il viaggio di “Un capolavoro chiamato Italia”. Quale il messaggio che vi impegnate a portare, e quale la risposta che vi viene, anche dalle pubbliche amministrazioni?
Il messaggio è quello che la nostra Fondazione sta portando avanti ormai da molto tempo, ovvero la protezione come prima forma di tutela e presupposto indispensabile per ogni attività legata ai beni culturali: dalla tutela al restauro, fino alla valorizzazione. La risposta è positiva: se è vero, infatti, che ancora oggi perdurano delle resistenze da parte del pubblico verso il privato, dall’altra esistono molte realtà eccellenti nel nostro Paese, che hanno saputo trovare un giusto equilibrio tra la protezione e la valorizzazione dei propri beni, facendo ricorso alle più moderne tecnologie di sicurezza e avvalendosi delle possibilità offerte dal rapporto con il privato.
Recentemente il mondo è in allerta per una crescita di attentati terroristici. A suo avviso, c'è motivo di temere che, specialmente in Italia, possano essere scelti dai terroristi siti culturali ad elevata frequentazione?
Sappiamo che in Italia esistono molti luoghi e monumenti considerati obiettivi sensibili, dalla Basilica di San Pietro al Colosseo, al Duomo di Milano, alla Basilica di San Petronio a Bologna, alla Sacra Sindone nel Duomo di Torino. Lo stesso rischio è poi da estendere a tutti i monumenti ed alle opere d’arte ubicati nelle piazze e nei palazzi delle principali città italiane, che possono rimanere vittime “per errore”, come accadde nel 1993 a Firenze, quando la bomba esplosa in via dei Georgofili distrusse numerosi capolavori conservati agli Uffizi.
Un aiuto per contrastare questo terribile rischio arriva ancora una volta dalla tecnologia, oggi in grado di offrire dispositivi e software studiati per prevenire il crimine, rivelandosi utili nei luoghi dove il rischio è elevato, consentendo di aumentare il livello di sicurezza. Pensiamo alle potenzialità offerte dall’analisi video, che permette ad esempio di rilevare e segnalare l’asportazione di un oggetto o l’abbandono di un pacco, o di analizzare il comportamento di un individuo. Tutto questo fino a poco tempo fa era inimmaginabile. Oggi che abbiamo a disposizione una vastissima gamma di strumenti straordinari dobbiamo saperli utilizzare al meglio, per proteggere i beni e le persone, anche contro il rischio terrorismo.
a cura di Monica Bertolo