Interesse nazionale o disinteresse strategico?
Gli argomenti recentemente trattati di più stretto ambito geo-strategico hanno vellicato la curiosità di alcuni nostri affezionati lettori. Uno in particolare mi ha domandato, forse provocatoriamente, per quale ragione l’Italia non persegua e non difenda i propri interessi di media potenza, quale appunto si picca di essere il nostro Paese.
Non potevo certo perdere la ghiotta occasione di rispondere a una provocazione intellettuale con un’altra ancor più stimolante che sa di iperbole: “A qualcuno risulta che l’Italia abbia mai definito quali siano i propri interessi?”
Chi mi ha posto la domanda è uomo d’azienda, come il sottoscritto. A noi, in fondo, viene quasi naturale ragionare per mission (ragion d’essere, scopo ultimo) e ci attendiamo che accada qualcosa di simile soprattutto cambiando scala e pensando in termini di Stato.
Un’Azienda, come noto, è chiamata a tutelare il proprio patrimonio aziendale, cioè il valore economico costituito dall’insieme di capitale intellettuale (la conoscenza a disposizione in un’impresa e capace di generare vantaggio competitivo) e di asset tangibili.
La mission, quindi, è la giustificazione stessa della sua esistenza e nel contempo ciò che la contraddistingue da tutte le altre.
Ci accorgiamo, invece, che salendo di livello non si applicano analoghe categorie.
L’art. 42 della Costituzione Italiana, infatti, traduce il concetto di interesse generale nei termini di espropriazione, seppur temperata, della proprietà privata. Esso è poi riformulato nell’art. 43 nell’accezione di utilità generale in relazione al passaggio sotto il controllo dello Stato di imprese o categorie di imprese. Per imbattersi nelle parole di sicurezza nazionale bisogna spingersi sino all’art. 126, quello relativo allo scioglimento di un Consiglio Regionale. Tale articolo introduce anche il concetto di interesse nazionale, affermato successivamente nell’art. 127, riguardante eventuali conflitti tra Stato e Regione o tra Regione e Regione. Analoghi “equivoci” si rilevano nella Costituzione anche per i concetti di: politica nazionale (art. 49), pubblico interesse (art. 82) e politica generale (art. 95).
Sino ad oggi, nell’ordinamento giuridico italiano il concetto di interesse nazionale non è stato “normato”, per ragioni di carattere storico e… ideologico.
Esso rimane affidato all’indirizzo politico delineato dalle maggioranze politiche che sostengono i governi. L’interesse nazionale – come sostiene Sergio Romano – risulta essere una combinazione di interessi concreti, pregiudizi ideologici, preoccupazione di politica interna, considerazioni storiche e culturali.
Tuttavia, gli interessi nazionali – nella loro accezione accademica – sono molteplici e proteiformi.
In base al loro contenuto possono essere di natura economica, territoriale, politica, ideologica, di prestigio ecc.
In relazione alla loro priorità essi sono vitali o strategici.
In riferimento agli interessi degli altri Paesi possono essere comuni, complementari o conflittuali. In ragione del tempo di breve, medio o lungo periodo.
La loro identificazione, valutazione e “prioritarizzazione” deve essere effettuata dalle élite politiche al Governo secondo una visione olistica, cioè coerente, organica, globale e di periodo sufficientemente lungo perché si individuino le politiche più consone al loro raggiungimento e si mantengano immutati gli obiettivi prioritari, indipendentemente dalle vicende politiche interne.
Infine, un interesse è tale se si è in condizioni di conseguirlo, ovvero se si dispone del potere per farlo, altrimenti si tratta di semplice aspirazione.
Inoltre, l’ormai convenzionale espressione: media potenza (semantema ossimorico), è riferita allo status di una Nazione in politica estera e prevede, per essere definita tale, il rispetto di quattro parametri accettati a livello internazionale:
– chiarezza nella politica di definizione delle alleanze (di tipo economico o militare);
– capacità di stabilire una gerarchia preferenziale fra i vari scenari geografici oggetto della politica estera economica (cioè attraverso il sostegno diplomatico all’export e la cooperazione allo sviluppo);
– capacità di attivazione del livello multilaterale (ad esempio attraverso la convocazione di forum negoziali a carattere regionale finalizzati al consolidamento di relazioni economiche approfondite);
– selettività all’interno delle aree geografiche privilegiate (con riferimento tanto alle missioni diplomatiche quanto alla cooperazione).
Siamo dunque certi che l’Italia li rispetti?
di Cristhian Re, Responsabile Security Cross Processes and Projects A2A e Comitato Scientifico S News