Italia, il Paese della speranza… come tattica
Non giro film, mastico realtà [Col. Francesco D’Agostino]
“Vuole la mia opinione? La vuole davvero? Voi cercate di esaurire il carburante all’atterraggio. Ma c’è rischio di restare a secco prima che l’aereo tocchi terra. È un ragionamento difettoso. È usare la speranza come tattica… Quando peschiamo io e il mio amico arriviamo al lago con una bottiglia di whisky, scendiamo nell’acqua e cerchiamo la più grande e profonda delle tane per infilare il braccio. Speriamo che un grosso pesce gatto di 30 kg ci morda con tutte le sue forze e così possiamo tirarlo fuori dalla tana. Vogliamo essere morsi. È quello il piano. La differenza è che noi siamo pronti per quel morso. Sì, pronti. Abbiamo guanti, occhiali da sole, scarpe, cappello e siamo preparati. Non infilerei la mano nella tana del mostro sperando che vada tutto bene. La speranza non è una tattica”.
Il dialogo, da antologia, è tratto dal film Deepwater del 2016. La pellicola rievoca la catastrofe del 20 aprile 2010 quando sulla piattaforma trivellatrice semisommergibile Deepwater Horizon, situata al largo della costa della Lousiana, i 126 lavoratori si trovano immersi nel peggior scenario possibile: una devastante esplosione, che causa un inferno di fuoco, undici vittime e uno sversamento di greggio nell'Oceano Atlantico riconosciuto come il più grave disastro ambientale della storia (800.000 tonnellate di petrolio in un’area pari a 176.000 km2, vasta – per fornire un metro di paragone – quanto il 60% della superficie di un Paese come l’Italia).
Mark Wahlberg, il tecnico coscienzioso capo dell'elettronica della Transocean, invita alla riflessione John Malkovich, implacabile e incurante dirigente della British Petroleum, uno dei diretti responsabili della “marea nera”. Il dirigente, spregiudicato quanto incompetente, cerca di piegare il tecnico alle logiche del profitto ad ogni costo. Come spesso accade, però, i tecnici non hanno gran voce in capitolo. I Decisori sono altri.
In questi ultimi mesi i mass media ci hanno letteralmente bombardato di bollettini di guerra e, soprattutto, di pareri di esperti. Tutti esperti… sempre dopo però. Grazie. Chi “invita a riflessioni” prima (tradotto, preconizza catastrofi ed esorta a prepararsi) viene tacciato di iettatura, come causticamente scrivemmo sempre su queste colonne di S News tempo fa (Tutti veggenti con il senno di poi, ma menagramo con il senno di prima).
È bene ricordare che tecnici e specialisti di settore, provenienti da ogni angolo del pianeta, collaborano alla redazione di standards validi universalmente e utili a tutte le Organizzazioni, Stati inclusi. Coloro i quali si certificano o si qualificano in base a quegli standards dovrebbero essere visti ovunque, non solo in Azienda, come figure di riferimento e non come uccellacci del malaugurio. Essi stanno all’Azienda come un nocchiere sta alla nave. Un’imbarcazione priva del suo timoniere è in balia di onde, vento e correnti, più in generale del caso. E quando il caso governa permettendo agli improvvisatori di assumere il comando delle situazioni, allora è il caos (ironicamente suo anagramma). È così che i parvenu impazzano sommando disastro a danno.
Esistono quindi standard come la ISO 22301 e addirittura le Good Practice Guidelines (GPG) del Business Continuity Institute che sarebbe sufficiente e altrettanto saggio applicare. Eppure… Una check list, ad esempio, come quella di seguito riportata (ricavata dalla GPG del 2018) aiuta a comprendere la distanza che separa le Organizzazioni dall’optimum.
Come si può notare, il piano di pandemia è presente. Assumendo per assurdo, dunque, che in Italia ogni Organizzazione (statale e privata) ne fosse dotata, immaginate per un istante cosa sarebbe accaduto da febbraio! Il Paese avrebbe registrato un numero di morti nettamente inferiore, non avrebbe bruciato miliardi di euro in misure straordinarie dettate da una emergenza dai tratti divenuti vieppiù cataclismatici e non avrebbe perso terreno e competitività sui mercati a tutto vantaggio di Aziende straniere concorrenti e Stati, paladini del proprio interesse nazionale.
L’italica realtà, invece, offre una numerica decisamente sconfortante. A febbraio 2020 su oltre un milione di imprese operanti in Italia (vedasi dettaglio in tabella), solo 41 risultano certificate ISO 22301! [fonte Accredia].
[Fonte ISTAT]
Esistono, inoltre, anche figure professionali certificate (CBCI, AMBCI, MBCI, ecc.) e qualificate (Lead Auditor ISO 22301, ecc.) capaci di applicare lo standard o verificare la bontà dell’applicazione. Perché mai, allora, improvvisare sostituendosi ai tecnici con la tracotanza tipica di chi confonde il potere con il delirio di onniscienza?
Da anni autorevoli formatori e fini conferenzieri citano il “cigno nero” di Nassim Taleb (un evento dall’impatto enorme che non rientra nel campo delle normali aspettative) invitandoci a familiarizzare con tale raro fenomeno e addirittura a superarlo pensando in termini di cign-i, al plurale (un esempio: il terremoto a Tohoku in Giappone che nel 2011 provocò uno tsunami che a sua volta causò l’esplosione della Centrale Nucleare di Fukushima Dai-ichi. Tre cigni neri in rapida successione, uno più devastante dell’altro).
Il mondo, secondo Taleb, è dominato da ciò che è estremo, sconosciuto e molto improbabile (Estremistan). Tuttavia, l’uomo è concentrato su ciò che è conosciuto e ripetuto (Mediocristan), sebbene la realtà sia ben più complessa di ciò che erroneamente appare (illusione della comprensione). Egli tende a valutare le cose solo dopo che sono avvenute, come se le vedesse in uno specchietto retrovisore (distorsione retrospettiva). È proprio la natura umana che spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa per renderlo spiegabile e prevedibile.
Il cigno nero si produce così nella “piega platonica”, cioè il confine in cui la mentalità platonica entra in contatto con la realtà confusa, dove il divario tra ciò che si sa e ciò che si crede di sapere, diventa ampio e pericoloso.
Abbeveratomi anch’io alla fonte dell’ineluttabilità talebiana, fatalisticamente sintetizzata con: “non è una questione di se, ma di quando” (cancellato definitivamente dai manuali di analisi del rischio il concetto di probabilità), è ancora vivido il ricordo di pochi mesi fa, quando al cospetto del top management di una importante azienda proietto un video appositamente realizzato della durata di circa 7 minuti, in cui sono antologizzati i dodici casi reali più paradigmatici a livello mondiale, accompagnati da melodie da sanguinamento cardiaco. Al termine della proiezione, toccamenti lascivi e gesti apotropaici a corredo di espressioni stravolte da una palpabile desolazione allontanano, senza possibilità di appello, quella sana consapevolezza (la tanto decantata awareness) che l'innesto multimediale si proponeva di accrescere.
Augurarsi scaramanticamente, come avrebbe fatto il mio povero nonno nell’atto di praticare atavici riti propiziatori, che una sciagura non si abbatta “è usare la speranza come tattica. È cercare di esaurire il carburante all’atterraggio”. Mutuando ancora Mark Wahlberg, “è un ragionamento difettoso”, tipico del bifolco e non di chi ha la responsabilità di dirigere un'azienda o governare un Paese.
di Cristhian Re
Chi è Cristhian Re?
Cristhian Re, laurea in Scienze Politiche e Lettere Moderne, MA in Intelligence and Security, Ufficiale in congedo dei Carabinieri, Senior Security Manager UNI 10459, CBCI, PFSO, Lead Auditor ISO 37001, 9001, 27001, 22301, Privacy Officer, RSPP, membro del Comitato Scientifico S News, autore del libro “La misura della sicurezza” (Ed. Bit.Book) e del Web Book “Propedeutica all’analisi del rischio” (Ed. Edisef).