Home » News » Attualità

La privacy tra diritto alla tutela della riservatezza dei dati personali ed interesse pubblico alla repressione dei reati

La privacy tra diritto alla tutela della riservatezza dei dati personali ed interesse pubblico alla repressione dei reati

“Sono utilizzabili, quali prove nel processo penale, le riprese effettuate da un impianto di videosorveglianza e conservate oltre i limiti di tempo stabiliti dalla normativa in materia di trattamento dei dati personali “.

Così ha statuito la Suprema Corte di Cassazione –  sezione II penale con la sentenza n° 43414 del 13 ottobre 2016, confermando la condanna di due ricettatori “incastrati” dalle immagini di videosorveglianza di una banca. I giudici di Cassazione hanno ritenuto utilizzabili tali riprese, nonostante fossero state conservate oltre i limiti previsti dalla normativa privacy (1).
La decisione è mutuata da una valutazione di ampio respiro che pone a confronto la tutela della riservatezza degli individui e l’interesse pubblico alla repressione dei reati. Nella fattispecie, le esigenze di accertamento probatorio nel processo penale, le quali hanno come fine la tutela del patrimonio e della collettività, prevalgono rispetto alle norme poste a garanzia della privacy dei singoli.
Pertanto, in presenza di prove legittimamente e correttamente acquisite dagli organi investigativi, non rileva la violazione di divieti nascenti da disposizioni a tutela di diritti diversi da quello oggetto del procedimento penale.

Vediamo quali sono gli orientamenti della giurisprudenza in materia di utilizzabilità delle immagini di videosorveglianza formate in violazione della normativa privacy. 

La prevalenza era già stata più volte sottolineata dalla stessa Corte di Cassazione (Sez. V, sentenza n. 33560/2015; Sez. II, sentenza 22169/2013), arrivando persino ad ammettere l’utilizzabilità nel processo, quali prove, di immagini provenienti da riprese effettuate da impianti di videosorveglianza all’interno di luoghi di lavoro.  Difatti, le prescrizioni dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori tutelano unicamente la riservatezza e dignità dei dipendenti e, di conseguenza, non possono impedire al datore di lavoro di effettuare “controlli difensivi”, a tutela del proprio patrimonio aziendale.

Per di più,  è lo stesso articolo 160 del D.lgs. 196/03 a prevedere che  “la validita', l'efficacia e l'utilizzabilita' di atti, documenti e provvedimenti nel procedimento giudiziario basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali nella materia civile e penale”; ciò sta a significare che in tali circostanze la normativa privacy cede il passo alla disciplina del codice di procedura penale e civile.
Sorprende come una materia di così vasto interesse e forti ricadute non sia stata oggetto di una norma specifica; la stessa Suprema Corte, SS.UU, con la sentenza 28 marzo 2006 n. 26795, avevano già trattato la questione dell’utilizzabilità delle riprese video nel processo penale, lamentando,  in tale circostanza,  l’assenza di leggi che disciplinino l’utilizzabilità in sede giudiziaria delle immagini di videosorveglianza.

E’ bene interrogarsi su quali siano le conseguenze per il datore  di lavoro che utilizza in sede processuale riprese video effettuate in violazione della normativa privacy.

Quel che preme sottolineare in questa sede è che, se è vero che le prove formate in violazione della legge sulla tutela dei dati personali sono utilizzabili nel processo, tuttavia ciò potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Infatti, ciò non significa che non vi siano conseguenze per l’imprenditore che ha installato le telecamere senza autorizzazione o ha conservato le immagini per un tempo superiore a quello previsto.
E’ facilmente ipotizzabile che, ad esempio, nel caso affrontato dalla sentenza n. 43414 della Corte di Cassazione, lo stesso imprenditore si potrà trovare ad essere egli stesso a rispondere di violazioni alla normativa privacy (art. 161 ss.  Codice Privacy), con previsioni sanzionatorie amministrative, oltre che penali.

La sentenza citata, probabilmente per esigenze processuali connesse al fatto concreto, non affronta affatto la problematica concernente le conseguenze della dedotta utilizzabilità in sede penale in punto di applicazione del Codice Privacy per la violazione di provvedimenti generali del Garante (nella fattispecie il provvedimento 8 aprile 2010). Tale inosservanza è punita dall’art. 162, comma 2-ter del Codice Privacy con la sanzione del pagamento di una somma di denaro nel minimo di trentamila  e nel massimo di centottantamila Euro.
Per di più, il titolare del trattamento potrebbe essere anche chiamato in causa da chiunque fosse stato ripreso da tali impianti di videosorveglianza, ritenendo violata la propria riservatezza, atteso che la normativa privacy prevede, in tali casi, la possibilità di essere risarciti ai sensi dell’art. 2050 c.c. ovvero per responsabilità per l’esercizio di attività pericolose; sul responsabile graverà la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

In altri termini, chiunque ritenga di essere stato leso a seguito dell'attività di trattamento dei dati personali che lo riguardano può richiedere il risarcimento, ovviamente con l’onere di dover provare la misura del danno derivato(2). Il danno non patrimoniale, in ogni caso, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno, dovendo essere superata una determinata soglia di serietà e gravità, tenendo comunque conto che il giudice potrà liquidare il danno in via equitativa.

L’ulteriore effetto di quanto sinora argomentato in ambito precessual-penale, è riscontrabile in sede civile, laddove è possibile  utilizzare tutte le prove acquisite nel processo penale. Il giudice civile può basare le proprie decisioni su prove acquisite in un giudizio penale già definito con sentenza passata in giudicato, potendo sia far riferimento al contenuto stesso della sentenza e sia procedere ad un esame diretto del materiale probatorio.  E’ bene ricordare che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha effetto di giudicato nel processo civile nei confronti del danneggiato che si sia costituto parte civile, in merito alla sussistenza del fatto ed al collegamento causale con l’agente.

In conclusione e rinviando ulteriori argomentazioni ad altra sede, è utile affermare che, se da un lato le immagini acquisite in  violazione ai precetti del codice privacy possono essere utilizzate per la difesa nel processo penale, dall’altro è pur vero che chi disattende la normativa sulla tutela dei dati personali si troverà a dover rispondere della propria illecita condotta, in sede civile,  a titolo risarcitorio nei confronti degli interessati, nonché in sede penale ed amministrativa per non aver approntato le misure previste dal Codice Privacy.

a cura di Domenico Vozza, Avvocato Stabilito del Foro di Roma, Specialista in Privacy, Governance Compliance aziendale, Comitato Scientifico S News

1. “La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria.” (Provvedimento 8 aprile 2010 del Garante Privacy in materia di videosorveglianza).

2. Così dispone l’art. 15 del D.lgs. 196/03: “chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile”

Condividi questo articolo su:

Fiere ed eventi

S NewsLetter

Rimani sempre aggiornato sulle ultime novità della sicurezza.

Ho letto e compreso la vostra privacy policy.