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La strage di Nizza: alcune riflessioni

La strage di Nizza: alcune riflessioni

Ieri notte un altro terribile attentato ha colpito la Francia e l’Europa intera.

Migliaia di persone assistevano ad uno spettacolo pirotecnico sulla promenade di Nizza, ignare di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Un camion, con a bordo almeno un terrorista armato, ha sfondato i due cordoni di sicurezza allestiti dalle forze dell’ordine francesi e si è lanciato in mezzo alla folla, facendo strage fra gli spettatori.

Al di là del tragico esito del gesto (oltre 80 morti e centinaia di feriti) compiuto a poche decine di chilometri dalla frontiera italiana, colpiscono le modalità e le tempistiche di attuazione.

Dopo gli assalti con armi da fuoco a Charlie Hebdo, dopo gli attacchi con esplosivi e commando armati a Parigi e Bruxelles, dopo gli attentatori suicidi all’aeroporto Ataturk della capitale turca e dopo gli assalti all’arma bianca, verificatisi in varie città europee e mediorientali (molto frequenti negli ultimi mesi in Israele) per la prima volta l’estremismo islamico, o chi ad esso si ispira, hanno usato uno strumento differente.

Non esplosivi, per i quali è necessaria una pur minima preparazione per il loro reperimento e utilizzo; nemmeno armi da fuoco, come strumento d’offesa principale, per il cui utilizzo è necessario esporsi e quindi, durante una manifestazione pesantemente presidiata dalle forze dell’ordine, essere facilmente intercettati e neutralizzati. L’attentatore Mohamed Bouhlel, tunisino con cittadinanza francese, ha usato uno dei mezzi più comuni nella vita quotidiana di ciascuno di noi: un veicolo di trasporto noleggiato, sembrerebbe, pochi giorni prima.

Cosa c’è di  più normale in una grande città europea di una macchina o di un camion che circolano nel centro abitato? Il terrorismo, anche quello dei cani sciolti o lupi solitari (i cosiddetti lone terrorists) si evolve ed è in continua ricerca di modalità operative, capaci di aggirare e sorprendere le contromisure delle forze dell’ordine; in particolare questo terrorismo di matrice jihadista che ha tra i suoi obiettivi primari l’uccisione indiscriminata del maggior numero possibile di civili.

Un mezzo pesante che si lancia a velocità sostenuta in mezzo alla folla può essere una di queste nuove modalità, in quanto la sua corsa è difficilmente arrestabile dalle macchine delle forze dell’ordine (berline o utilitarie parecchio più piccole e leggere) e offre maggiore protezione al guidatore dai proiettili delle armi leggere della polizia.

Colpisce, inoltre, la tempistica dell’attacco in relazione al numero ingente delle vittime. Gli attentati di Parigi, Bruxelles o Istanbul si sono svolti durante azioni multiple e coordinate (come Parigi e Bruxelles) durate dai 15/20 minuti fino ad oltre un’ora. Ieri in una manciata di minuti (meno di cinque) l’attentatore aveva sterminato più di ottanta persone, e questo solo perché la polizia francese, nonostante lo sfondamento del cordone di sicurezza, ha reagito prontamente riuscendo a neutralizzare l’uomo alla guida.

Una modalità differente dalle precedenti usate in Europa, quindi, ma non nuova o impossibile da immaginare. In Medioriente l’utilizzo di camion bomba è ed è stato per diverso tempo uno strumento privilegiato dal terrorismo. In Israele sono diversi gli attacchi con veicoli a fermate degli autobus o contro passanti a piedi per le strade.

Anche l’Europa ha già conosciuto questo genere di attacco, seppur perpetrato da squilibrati: il 30 aprile 2009 durante la parata della Regina, in Olanda, un uomo alla guida della sua macchina piombava sulla folla assiepata al bordo della strada cercando, poi, di colpire il pullman su cui viaggiavano i reali olandesi. Allora il bilancio fu di 4 morti e 17 feriti. Nel 2010, su Ispire, rivista Qaedista, Al Queda suggerì di usare i camion come “falciatrici”.

Quello di ieri era un evento da ipotizzare? Si doveva considerare questa modalità come una minaccia realizzabile? Di conseguenza, le autorità dovevano organizzarsi per affrontarla? Difficile a dirsi. Lo stabiliranno le indagini. Rimangono i morti. Tanti, troppi come sempre quando la ferocia cieca dell’odio colpisce tra noi. E rimane la consapevolezza della determinazione di questi assassini a voler minare e distruggere un sistema politico e sociale, il nostro, che invece dobbiamo tutti insieme continuare a difendere. Perché? Perché nonostante le sue debolezze e i suoi difetti le nostra democrazia è e rimane il miglior mondo in cui vivere.

di Luca Puleo, 
Componente Comitato Scientifico,
Ricercatore e Docente Scuola Internazionale Etica & Sicurezza 

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