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L’ANALISI: Prolegomeni della risk analysis

L’ANALISI: Prolegomeni della risk analysis

In azienda come altrove si parla sovente di analisi. La varietà dell’aggettivazione, poi, esalta l’approssimazione semantica. Ci imbattiamo, così, in una serie di analisti: finanziari, creditizi, contabili, politici, culturali, programmatori, di tempi e metodi, di organizzazione e via di questo passo. Un mondo popolato da analisti, verrebbe da dire!

Tuttavia, quanti di costoro fanno esattamente ciò che l’etimo, in verità, prevede? L’origine greca non concede spazi alla fantasia (á¼€νάλυσις: scioglimento, soluzione – composto di á¼€νá½±+λύω: sciogliere, esaminare partitamente, cioè scomposizione di un tutto nei suoi elementi costitutivi).

Chi svolge il mestiere dell’analista ha certamente familiarità con i quattro precetti logici indicati dal padre del Metodo, Renato Cartesio. Quattro regole auree scritte ben quattro secoli or sono nel celebre Discorso che di seguito riportiamo anche a beneficio dell’inclita:

1. evidenza, non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale; ovvero, evitare accuratamente la fretta e il  pregiudizio, e di non comprendere nel mio giudizio niente di più di quello che fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio;
2. analisi, dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un'adeguata soluzione;
3. sintesi, condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza;
4. enumerazione e revisione, fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla.

Ecco riassunto, mutuando le parole di una delle menti più brillanti dell’età moderna, il corretto modus operandi di un analista tanto da costituire un vero e proprio paradigma, cioè un modello di riferimento, un termine di paragone.

L’analisi, come altre nobili pratiche umane, muove dall’ovvio; regolarità e discontinuità costituiscono il suo oggetto di studio. In termini generali e astratti, si configura come un (virtuoso) processo permanente e sistematico che non possiede un termine definito in quanto gli esiti prodotti diventano, a loro volta, premessa per la prosecuzione in profondità di successive indagini. L’analista è colui il quale ha il compito di trasformare (elaborare) i dati grezzi, raccolti attraverso i più disparati canali, in informazioni, materiale cioè intelligibile adatto a essere compreso e utilizzato dal Decisore ovvero dal livello direttivo (figure che, all’interno di un’organizzazione, si occupano di definire le strategie o di effettuare le scelte).

L’analisi consente, dunque, di sviscerare i dati in tutte le loro parti, capire sino in fondo le possibilità d’impiego e l’utilità ai fini degli obiettivi informativi, sostanziandosi nella ricerca e nello studio dei fenomeni (anche quelli di carattere preternaturale) attraverso il ricorso a metodi di natura statistica.

L’analisi è intesa anche come successione delle attività concettuali, organizzative ed esecutive mediante le quali si perviene agli elementi necessari per la conoscenza dell’ambiente in cui si opera e del potenziale avversario (o nemico).

Pertanto, l’attività dell’analista – incluso quello di Security la cui fattispecie sarà dettagliatamente descritta nel prossimo numero – è diretta a ipotizzare minacce, scenari e, nondimeno, opportunità in un contesto vieppiù caratterizzato dalla crescente complessità delle variabili dei rischi.

di Cristhian Re

 

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