I più recenti contributi sulle colonne della rivista prediligono la trattazione di quei temi di carattere strategico-organizzativo che, oltre ad accomunare una parte dei profili appartenenti alla nostra vasta famiglia professionale (dai tecnici ai managers), permette una forte identificazione con essi.
Accade che nei due mesi successivi alla pubblicazione dell’articolo sul Dazebao gli effetti non si fanno attendere: dal favore e condivisione dei lettori alle richieste di approfondimento o chiarimento.
Possiamo raggruppare le domande più frequentemente pervenuteci in due distinte categorie: i) le reali opportunità di impiego in azienda, ii) la ricerca di un nuovo lavoro altrove.
La prima raccoglie le istanze e le ansie dei più giovani, quelli per intenderci che, usciti dall’università o da corsi di specializzazione professionale, si affacciano entusiasticamente al mondo della Security carichi di ideali, speranze e attese. La seconda, invece, le preoccupazioni e il desiderio di cambiamento di quella fetta di popolazione che, lasciato “un grande avvenire dietro le spalle” (avrebbe detto Vittorio Gassman) manifesta un atteggiamento improntato a un sano pragmatismo e temperato ottimismo. Ai primi non sarò certo io a spegnere l’ardore romantico. Mi limito tuttavia a richiamare, come mio costume, i numeri. Quelli, perlomeno, non ingannano mai. Fonte ISTAT, su un totale di poco più di 1.000.000 di imprese presenti sul territorio italiano, solo circa 1.500 hanno un numero di addetti superiore a 500 unità. Un numero, 1.500, destinato ad assottigliarsi notevolissimamente se consideriamo che esistono aziende di oltre 4.000 dipendenti che non annoverano la figura del Security Manager tra i propri quadri. Dirò di più: non ci pensano affatto e, talvolta, le restanti poche (di una certa dimensione e organizzativamente strutturate) vi rinunciano per una serie di ragioni che non affronteremo oggi. Il conto esatto? Presto fatto. Dal 1966 Mediobanca aggiorna costantemente il rapporto di classificazione delle principali società italiane (3.437). Tale studio, oltre a mettere a disposizione dati di bilancio, riespone le società in graduatorie stilate sulla base di parametri distinti per attività (fatturato, investimenti finanziari, numero di dipendenti ecc. ecc.). Si presenta così:
Una radiografia del tessuto economico-industriale italiano che restituisce lucidità e senso delle proporzioni a chi, facendo del business in ambito Security, preferisce smarrirli ventilando ghiotte opportunità di impiego.
La realtà è un’altra: l’assenza, quasi ovunque, non solo di posizioni apicali nell’ambito della Security, ma anche di quelle da collaboratore, le posizioni cioè da cui si inizia una carriera. Per la Safety, sappiamo bene, è esattamente il contrario. I suoi numeri subiscono di anno in anno una progressione geometrica in ragione della diffusa e pervasiva cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, effetto quest’ultima dei severissimi e inderogabili obblighi di legge, pena pesanti sanzioni.
Se poi – come farebbe un bravo analista di Intelligence – ci volessimo divertire a mettere in relazione detti macro-dati con quelli annualmente pubblicati dal Ministero dell’Economia e della Finanza riguardanti le dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti italiani (41,2 milioni: lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati) suddivise per fasce di appartenenza, scopriremmo che il 97,2% dichiara un reddito annuo lordo inferiore a 75.000 € (quella che comunemente viene considerata la soglia minima dirigenziale)! Solo l’1,2% del totale dichiara un reddito superiore ai 100.000 € (dirigente con una certa anzianità). Quest’ultima sottilissima fascia composta da 498 mila persone risulta così ulteriormente tripartita: 404 mila persone con un reddito tra i 100 e i 200 mila euro, 55 mila persone tra i 200 e i 300 mila euro, 38 mila persone sopra i 300 mila euro. Questi numeri è bene scolpirli in testa; risparmiano delusioni.
Secondo un recentissimo articolo pubblicato sulla rivista Dirigenti Industria (Anno LXXV – Luglio 2022) dal titolo: “L’Italia non è un Paese per manager (giovani)”, i managers pubblici e privati in Italia sono 113.099 (di cui 82,9% uomini e 17,1% donne), pari l’1,3% dei lavoratori dipendenti!
Quindi, all’esiguo numero di posti di lavoro in ambito Security, si somma un numero ancor più ridotto di dirigenti. “Non ci resta che piangere” direbbe sempre Massimo Troisi.
Nel nostro Paese il calcio è lo sport nazionale. Tutti comprendono meglio i ragionamenti se accompagnati da una metafora, un paragone o un’immagine calcistica. È nel nostro DNA, non possiamo farci nulla. Persino in quello di gente come me che è totalmente indifferente all’argomento. Fonte FIGC, nel 2019 l’attività professionistica da calciatore in Italia risulta praticata da 12.341 atleti. Immaginiamo per un istante che siano potenzialmente posti di lavoro caratterizzati, oltretutto, da un elevatissimo tasso di ricambio (i calciatori non giocano fino a 68 anni, i più longevi appendono gli scarpini al chiodo intorno ai 40). Ebbene, in Italia un giovane talentuoso e ambizioso avrebbe infinite chances in più di fare il calciatore invece del Security Manager. Attenzione, anche a uno come me è dato sapere che in campo devi saper calciare la palla, altrimenti le squadre non ti ingaggiano. Solo nello sport si osserva la tanto decantata regola del merito. Altrove tale regola non trova altrettanto facile e naturale applicazione! Troppe le scorciatoie concesse.
Ai secondi, quelli cioè che dopo anni di onorata professione aspirano a cambiare azienda per iniziare una nuova avventura, chissà dove e con chissà chi, ricordo sempre loro, oggi più di un tempo, la fortuna di avere un posto di lavoro caratterizzato da un quadro di garanzie ampio e consolidato, nonché di essere avvantaggiati dalla conoscenza dell’ambiente e delle dinamiche che si vogliono lasciare. Di fronte all’irremovibilità di costoro, allora, rimarco l’importanza di affidare la propria testa a chi lo fa di professione: gli headhunters. Le aziende, quando prediligono un trasparente processo di selezione alla mera e diretta cooptazione, assegnano solitamente l’incarico della ricerca a società che fanno quello specifico mestiere, non a Security Managers. Di norma non è quest’ultimo a scegliere e presentare all’azienda il suo sostituto (se uscente) o potenziali collaboratori (se in carica). La rete dei Security Managers può certamente aiutare a captare segnali provenienti dal campo, ammesso che questi ultimi vengano trasmessi in chiaro e l’informazione non faccia gola ad altri. Tra colleghi il rischio “disinformatia” come l’effetto “terra bruciata” sono elevati.
Gli headhunters, termometri del mercato del lavoro e profondi conoscitori delle leggi che lo regolano, costituiscono moltiplicatore di opportunità in quanto elementi imparziali di un sistema che fa incontrare domanda e offerta; nodi disinteressati di una rete che tende, quantomeno, alla libera e incondizionata individuazione delle competenze. Ancora un parallelo calcistico, gli headhunters sono come quei talent scouts che devono scovare il valido atleta, magari il fuoriclasse. Se davvero bravo, lo vedremo militare prima o poi in qualche squadra di qualche serie. In caso contrario, lo aspettano gli amici nel campetto sotto casa.
Non andate a caccia del lavoro, ma del cacciatore (di teste). La stagione venatoria è aperta, buona fortuna!
Cristhian Re, ufficiale in congedo dei carabinieri, Senior Security Manager UNI 10459, CBCI, PFSO, Lead Auditor 27001, 22301, 9001, 37001, 20000-1, membro del Comitato del Business Continuity Institute – Italy Chapter e del Comitato Scientifico di S News, autore de “La misura della sicurezza” e “Propedeutica all’analisi del rischio”, ha maturato la sua esperienza nel settore dell’aerospazio, difesa, energia, multiutility e siderurgico.