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Security Manager: l’Hiroo Honoda d’azienda? Riflessioni semiserie sul ruolo

Security Manager: l’Hiroo Honoda d’azienda? Riflessioni semiserie sul ruolo

Recentemente un autorevole e colto collega, forse in preda a un momento di sconforto commisto a smarrimento e stizza, mi dice: “Mi sento l’Hiroo Honoda d’azienda. Sono l’ultimo dei soldati a combattere ostinatamente una guerra già finita da un pezzo, ma che in realtà non è finita!”, cedendo anch’egli a quello stato di vaga frustrazione che accumuna anche chi autorevole non è.

Ascolto religiosamente le sue parole che rotolano da un’altezza di fronte alla quale non si può non provare umiltà fisica a guardarlo ma, tornato ai miei offici, inizio a covare una risposta deferente quanto irriducibile, restitutrice di quei centimetri mancanti in natura e in autorevolezza (e di questo, il collega, spero non me ne voglia).

Diverse inesattezze in così poche battute. A onor del vero Honoda non fu l’ultimo, ma il penultimo (l’ultimo, infatti, fu tale Teruo Nakamura), ma in fatto di ostinazione non conobbe rivali, di qui la grande fama che dalla II Guerra Mondiale è giunta sino ai nostri giorni. Un “soldato fantasma”, come noto, che si rifiutava di credere che la guerra fosse finita nonostante tutti i segnali ricevuti (fatti piovere anche dal cielo) e gli immani sforzi compiuti dai vari persuasori. Ho quindi pensato che il collega, in realtà, si confondesse con l’esilarante Kamasuka, la celebre caricatura fatta da Sergio Corbucci nel film “Chi trova un amico, trova un tesoro” con Bud Spenser e Terence Hill. Kamasuka, come i lettori ben ricordano, a differenza di Honoda non era stato mai avvertito della fine della guerra.

Ci sarebbe, dunque, da chiedersi se l’evocazione di Honoda “ci azzecchi” veramente, direbbe Di Pietro. Honoda non è propriamente figura eroica quanto, piuttosto, uno stolido ottuso, sempre ammesso che l’Impero Nipponico avesse reclutato i suoi soldati tra i sani di mente.

A tiro aggiustato, comunque, il parallelo scricchiola proprio nell’elemento di paragone in sé. Chi è il vero sordo? il miope? il refrattario alla realtà e al cambiamento?  Honoda o Lubang (l’isola delle Filippine, “dimora” dello sventurato soldato giapponese)? Lubang e la sua popolazione sono gli unici ad aver capito che la guerra è finita. Allegorie a parte (Lubang=Azienda), fissarsi nel voler combattere guerre non dichiarate, percepite come tali o anche laddove non vi è o non vi sarà mai il minimo interesse (poiché, dicendola alla Aristotele, i termini non ricorrono nelle premesse) significa essere, in azienda, manager visionari e anacronistici (nell’accezione più letterale del termine: á¼€νá½± + χρá½¹νος: fuori dal tempo) o, peggio ancora, essere tacciati di iettatura.

Accade talvolta che l’approccio analitico, il metodo, le evidenze oggettive prodotte non trovino adeguati spazi di confronto e di ascolto. Il confine tra l’essere propositivi (proattivi, termine più in voga oggi) e dei seccatori (di oraziana memoria) è assai labile, il rischio di essere fraintesi elevato, la probabilità di risultare scomodi o invisi alta. Allora, cosa fare? In casi (non infrequenti) come questo occorrerebbe fare appello alle sagge parole di Sir B.H. Liddell Hart, storico e genio assoluto di strategia militare, quando ricorda che “Nel mondo naturale avviene che ogni corrente o flusso si muove lungo la linea di minor resistenza, trovando il modo di aggirare e continuare poi la sua corsa, mentre i vortici lasciati indietro spazzano via l’ostacolo” o alle chiare indicazioni di Gianluca Magi (nell’introduzione de “I 36 stratagemmi”) sull’efficacia della condotta: “Come il flusso dell’acqua si adatta a ogni piega del terreno per garantirsi il suo corso, così lo stratega (leggasi manager n.d.r.)  va incontro alla vittoria, imitando il comportamento dell’acqua, elemento che vince senza combattere”.

a cura di Cristhian Re, Responsabile Security Edipower

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