Situational Awareness e counter terror. L’ultima frontiera è rappresentata da capacità di percezione e coinvolgimento del cittadino
Da anni ho preso a fondare ogni intervento o lezione in ambito di sicurezza, in aula come durante le esercitazioni operative, su quella che ritengo essere ormai una competenza irrinunciabile per chiunque, che si occupi professionalmente di sicurezza o meno: la consapevolezza situazionale.
Per quanto mi sforzi, infatti, non riesco a trovare attività umana che non benefici di un preciso metodo per incrementare la capacità di:
– percepire elementi dall’ambiente circostante;
– valutarli e dunque attribuire loro un significato, rappresentarsene una lettura;
– utilizzarli ai fini predittivi, quindi fondando sulla valutazione di questi elementi la nostra capacità di prevedere cosa accadrà (Dr. Mika Endsley, 1995).
Il primo ed imprescindibile tra i non-technical skills (cioè quelle abilità e competenze dell’individuo, in quanto essere umano, definite come “competenze cognitive, sociali e personali, complementari alle competenze tecniche, che contribuiscono all’attivazione di performance sicure ed efficaci”) si presenta così come antecedente logico e cronologico di ogni processo decisionale e dunque, conseguentemente, di ogni azione da compiere.
Si tratta, in prima battuta, di massimizzare la nostra capacità di percepire elementi dall’ambiente circostante. In secondo luogo di valutare in modo appropriato ciò che si è rilevato ed infine di ipotizzare cosa verosimilmente muterà nello scenario analizzato, naturalmente in funzione di quanto si è rilevato.
Se si considera quindi che tutti quanti noi esseri umani percepiamo ciò che accade intorno a noi attraverso i cinque sensi, allora ci sembrerà naturale considerare come la lettura dello scenario e l’analisi dei dati raccolti sia attività che coinvolge le stesse competenze ed i medesimi processi sia che ci si trovi davanti ad un pc ad analizzare filmati o ad incrociare dati su database, sia che ci si trovi a svolgere professionalmente attività di sorveglianza o pattugliamento, sia che si voglia evitare di essere borseggiati in autobus, sia che debba attraversare un incrocio con la bicicletta… sempre di performances umane si tratta. Situational awareness è quindi uno skill per tutti.
Solo per fare un esempio dell’universale beneficio dall’incremento di questa competenza, mi sono trovato in diverse occasioni a tenere incontri di contenuto giuridico sull’istituto della legittima difesa, durante i quali mi è venuto spontaneo creare un parallelismo tra una difesa “consapevole dello scenario” (dunque attuata sulla base di una valutazione contestualizzata degli elementi percepiti) ed una maggiore possibilità di ottenere un giudizio di liceità delle condotte tenute.
Le stesse considerazioni hanno peraltro animato, nella mia professione di avvocato, anche più di una difesa di operatori law enforcement che si siano trovati a dover giustificare le loro modalità di intervento in situazioni ad alto rischio.
La norma in questione (art 52 C.P.), infatti, pone quali elementi costitutivi della legittima difesa alcuni presupposti che, nei fatti, si fondano sulle percezioni del soggetto attore, sulla scorta delle quali si è agito. Di qui l’obiettivo di avere percezioni sempre più accurate, interpretazioni sempre più centrate e così ottenere una risposta più adeguata possibile allo scenario ed una sicura coerenza nel giustificare le proprie azioni.
La necessità a che queste operazioni di rilevazione ed analisi seguano un metodo efficiente ed efficace risulta poi massima in un ambito, quale quello della sicurezza ed al pari di tutti i campi ad alto rischio, in cui human factor resta la principale causa di incidenti, nonostante o forse proprio in virtù del sempre crescente apporto tecnologico.
Riferendoci dunque al mondo della sicurezza in modo più mirato, ambito in cui di fatto questi studi sono nati e si sono sviluppati (proprio generati dallo studio degli incidenti in settori e professioni ad alto rischio) la centralità di situational awareness viene ulteriormente enfatizzata in due precise direzioni.
Da un lato, certamente chi si occupa professionalmente di sicurezza potrà trovare un fondamento teorico all’impiego intuitivo e spontaneo, certamente già abituale in quanto naturale, di capacità comunque innate nell’uomo (ed anzi connesse proprio all’istinto di sopravvivenza), così come potrà trovare una metodologia di gestione delle sue funzioni che gli consentirà di ottenere una performance più sicura ed efficace, che contribuisca a non trascurare nulla e ad interpretare quanto accade nella maniera più sensata e centrata possibile, così orientando al meglio le proprie decisioni ed azioni.
In ogni caso, mai come in questi giorni, in cui la percezione di quasi assoluta sicurezza domestica della vecchia Europa ha subito duri colpi, mi sono trovato a considerare come ogni attività di raccolta di informazioni, loro valutazione, assunzione di decisioni e successive azioni abbisognano di un essere umano dotato di elevata situational awareness e che la impieghi con metodo, tanto nel caso in cui tutto ciò sia gestito con il dovuto tempo da parte di un analista, quanto nel caso in cui percezione, valutazioni, decisione ed azione debbano risolversi in decimi di secondo da parte di un operatore “stivali sul campo”. Non a caso i fondamenti di questi modelli sono stati gettati in ambito militare ed anzi nel velocissimo mondo dei piloti da combattimento aereo (Col. John Boyd, 1987).
Esemplare, in questo senso, l’incremento massiccio dell’impiego di modalità di screening del pubblico tramite profiling di tipo comportamentale, soprattutto dopo 9/11 ed in primis ambito aeroportuale, basate proprio sulla capacità di osservazione ed interpretazione del non verbale: ai miei occhi un’altra importante declinazione di situational awareness.
Allo stesso modo però, ognuno di noi, pur non occupandosi professionalmente di sicurezza, incrementando la propria situational awareness potrà da un lato migliorare la sua capacità di auto protezione, dall’altro contribuire efficacemente al più ampio sistema di vigilanza e protezione della società in cui vive.
Sotto il primo punto di vista, non va dimenticato che il bisogno di sicurezza è tra i bisogni fondamentali di ogni individuo e secondo, stando alla celebre piramide di Maslow, solo ai bisogni fisiologici primari. Nessuno stupore, dunque, a che ognuno percepisca e consideri il proprio bisogno di sicurezza e valuti come meglio appagarlo, in quanto questione animale prima ancora che specificamente umana.
Sotto il secondo punto di vista, l’apporto della generalità dei consociati all’obiettivo della sicurezza di un intero sistema-paese è oggi ancor più importante che mai.
Proprio nelle settimane scorse gli eventi di Parigi hanno minato la sensazione di sicurezza delle nostre città e più in generale delle nostre esistenze.
Abbiamo allora assistito a quello che spesso accade in occasione di crisi di questo genere, vale a dire un rinnovato senso di partecipazione alla coscienza ed alla sicurezza collettiva da parte di tutti i cittadini, subito pronti a segnalare pacchi abbandonati o comportamenti stravaganti di qualcuno.
Recentemente i giornali hanno riportato la notizia di come in Roma i taxisti siano stati individuati come potenziali “sentinelle” di soggetti o condotte anomale.
Sorrido perché da anni impiego il termine “sentinelle” proprio riferito alla partecipazione del privato – fino al cittadino! – alla sicurezza, anche pubblica, alla stregua di un operatore sul campo, occhi ed orecchie della collettività…
Lontano dall’essere una boutade, sta crescendo negli USA la voce di chi, tra gli operatori professionali, indica il cittadino proprio come il miglior poliziotto di prossimità possibile, incoraggiandone alla bisogna l’intervento.
E’ indubbio come la capillare presenza sul territorio del cittadino presenti numeri in grado da far impallidire qualsiasi previsione di controllo del territorio.
In ogni caso, la capacità di percepire elementi dall’ambiente circostante e di interpretarli correttamente rappresenta lo skill fondamentale per chiunque, a maggior ragione per chi si occupa di sicurezza, a qualsiasi titolo lo faccia.
Varieranno gli scenari da osservare, il tempo a disposizione per farlo, gli obiettivi dell’osservazione, ma la metodologia rimane la stessa.
L’ultima frontiera della sicurezza, dunque ed al fianco del crescente apporto tecnologico, è rappresentata proprio dal coltivare la capacità di percezione e valutazione degli scenari e dal crescente coinvolgimento di tutti nella salvaguardia di ciò che è collettivo.
In effetti questo secondo obiettivo dovrebbe dare per presupposta un’azione di recupero di una coscienza collettiva ed un rinnovato attaccamento alla cosa pubblica e perciò comune, ma questa è un’altra storia…
di Davide Mantovan
Davide MANTOVAN, avvocato, criminologo forense e formatore. www.assetsrl.com Titolare e fondatore dello Studio Legale Mantovan.
Partner di ASS&T S.r.l., società che si occupa di formazione teorica e tecnico-operativa di personale pubblico e privato impiegato nel comparto sicurezza.
Fondatore e presidente dell'associazione culturale Take Care – Safety Solutions, attraverso la quale contribuisce alla diffusione della cultura della legalità attraverso l'organizzazione e la partecipazione a corsi e seminari in materia di Autoprotezione (prevenzione ed autodifesa) in favore dell'utenza femminile.
Dal 2009 partecipa in qualità di docente all’attività di aggiornamento professionale per il personale di PS della Questura di Varese.
Dal 2011 ha preso a collaborare stabilmente con la Scuola Etica & Sicurezza de L’Aquila (www.scuolaeticaesicurezza.it ).