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So ascoltare?

So ascoltare?

Ascoltare è ben diverso da sentire. L’ascolto implica l’essere presenti con attenzione e consapevolezza e con l’intenzione di capire cosa davvero sta comunicando l’altro, per esempio riguardo ai propri bisogni di sicurezza.

L’ascolto è una parte importante della comunicazione, anzi le ricerche mostrano come saper ascoltare assicuri più vendite facili.

Ma perché è così difficile ascoltare? Innanzitutto l’ascolto richiede di essere nel qui e ora, nel momento presente, con chi si sta parlando. Spesso la testa vaga su altre questioni o tira conclusioni affrettate a partire da alcune parole dette dall’altro. Possiamo immaginare chi parla e chi ascolta come due compagni di viaggio: se uno dei due corre avanti o rimane indietro o si perde per altre strade, il rischio è di arrivare alla meta da soli.

Per poter stare “al passo” dell’altro ci si deve continuamente rendere conto della velocità a cui va, del ritmo, delle curve che compie e così via, oltre a essere consapevoli del proprio modo di procedere, per questo è così importante stare nel presente.

Una volta centrati sul qui e ora nella relazione con il nostro interlocutore, c’è un altro processo non semplice: decodificare ciò che l’altro sta dicendo. Ognuno parte da propri linguaggi e rappresentazioni e diamo per scontato che tutti possano comprenderle allo stesso modo. Sicuramente sappiamo tutti come sia il colore “rosso”, ma se chiediamo a 10 persone di indicare il colore rosso, ciascuno lo rappresenterà con una tonalità differente. Così quando l’altro mi parla del “rosso” ha in mente un’immagine, mentre io ne ho un’altra.

Per esempio, un’affermazione del tipo “ho paura che i ladri entrino qui” nella mente di chi parla può essere rappresentata come un ladro dalla faccia cattiva e barbuta, con un piede di porco in mano, che entra sfasciando la porta e a quest’immagine si associa un’emozione intensa di paura, portando con sé l’idea che senza due guardie nerborute che piantonino la porta non sarà possibile sentirsi al sicuro. Per chi ascolta, la stessa affermazione può assumere connotati completamente differenti e, complice anche la non attivazione emotiva elevata (dovuta al fatto che non si è implicati in prima persona), può essere rappresentata come ladro scaltro che si nasconde durante il giorno per uscire la notte o come idea di telecamere che monitorano la zona o, ancora, come installazioni di sicurezza non davanti alla porta (che potrebbe già essere un punto ben difeso) ma in altre zone. Ecco, se non si entra “nella testa” di chi sta parlando, se non si coglie il suo punto di vista, il rischio è di parlare due lingue diverse, di riferirsi a situazioni differenti.

Partiamo sempre dall’idea che l’altro sta facendo il possibile per spiegarci il suo punto di vista, ciò di cui ha bisogno, ma a volte nemmeno lui ha ben chiara in testa la situazione che ci sta esponendo e allora nel dialogo rispettoso è possibile capire e capirsi, evitando fraintendimenti. Sentirsi ascoltati è un’esperienza unica, che oggi ahimè è sempre più rara anche nelle relazioni amicali e famigliari, che fa sentire che l’altro – chi ascolta – è lì davvero con noi, con curiosità e interesse, e ha cuore ciò di cui si sta parlando.

Soprattutto se lavoriamo a servizio di clienti, saper ascoltare è una questione di etica e onestà verso il proprio lavoro e il proprio cliente: se si vuole essere d’aiuto e farlo bene, ci si deve sintonizzare con l’altro, entrare nel suo modo di vedere le cose, facendo le giuste domande per comprendere. Questo significa anche non minimizzare o screditare il punto di vista dell’altro, per quanto errato, ma prenderlo come punto di partenza per instaurare un dialogo. Non ascoltare l’altro perché non conosce bene la tematica o perché sta sbagliando, porta a un inutile braccio di ferro su chi abbia ragione e a perdere la strada che si stava percorrendo insieme.

Così come non è utile un “finto ascolto” dell’altro (dove di fatto l’ascoltatore va avanti per la propria strada senza cogliere ciò che ha nella testa e nel cuore chi è di fronte), non si deve cadere nemmeno nel tipo di ascolto che definirei da “tappetino”, in cui si avvalora completamente il punto di vista dell’altro, lo si ascolta ciecamente, senza avere un personale punto di vista. Così significa abdicare al proprio ruolo d’interlocutore e diventare tutt’uno con l’altro. Ma se si tratta di camminare insieme, non ha senso sovrapporsi (si rischia di inciampare o, di nuovo, di arrivare soli alla meta), ma ognuno – con la sua corporatura e le sue caratteristiche (chi ha gambe più corte può camminare tranquillamente accanto a chi è più alto, sintonizzando ciascuno alla propria maniera l’andatura) – partecipa alla comunicazione per come è, attento all’altro e a se stesso.

Se dopo ogni comunicazione andata bene o fallita ci prendiamo pochi minuti per riflettere su ciò che ha o non ha funzionato, possiamo diventare più consapevoli dei nostri punti di forza e di quelli da migliorare come ascoltatori.

Ogni comunicazione e relazione è diversa e non si finisce mai di imparare…

di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista

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