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Tutti a casa

Tutti a casa Cristhian Re

In questa uscita de Il Dazebao della Security, Cristhian Re sposta l’attenzione su un tema estremamente delicato e di grande attualità, che si allontana dai tecnicismi delle normative e dalle spinose quotidiane fatiche del Security Manager. Con l’inconfondibile brio e la sagace ironia che lo contraddistinguono, Re intende “porre una questione per stimolare le riflessioni”, perché dell’argomento…“bisognerà [sicuramente] parlarne”.
E qui sta la forza del suo ragionamento e del suo approccio: non una forzatura per dimostrare qualcosa ma un libero pensiero per sollecitarne altri di ugualmente liberi e di ugualmente alti.

Buona lettura!

Monica Bertolo

TUTTI A CASA 

a cura di Cristhian Re

Il senso delle cose

Chi è entrato nel mondo del lavoro alla fine degli Anni ’90, come lo scrivente, ha fatto sicuramente in tempo a vedere la macchina da scrivere, un oggetto che da lì a breve sarebbe finito nelle teche museali.
Un collaboratore di lungo corso un giorno mi disse soddisfatto: “Anche oggi ho scritto la mia lettera!”, col tipico birignao teatrale. Per un attimo mi ricordò Gassman (padre). Quella lettera, portata alla mia firma, lo aveva impegnato l’intera giornata. Non solo si compiaceva del lavoro svolto, ma anche del fatto di averlo portato a termine nella giornata. Oggi quella affermazione farebbe sorridere. Non risi allora, non rido oggi. Allora perché compresi il senso delle sue parole e ne riconobbi le difficoltà. Oggi perché si è giunti all’estremo opposto, in termini di numeri, tempo e complessità. Vengono chieste, infatti, sempre più cose, in sempre meno tempo e con elevato livello di complessità. Abbiamo forse perso il senso delle cose. Pensiamo di poter chiedere ciò che neppure la più fertile immaginazione oserebbe mai chiedere.

La perfezione del creato, l’imperfezione del creatore

Di qui, probabilmente, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: in pochi decimi di secondo tutto quello che un lavoratore non avrebbe prodotto in un anno e con precisione svizzera. E allora ci domandiamo: occorre ancora l’uomo? Già da anni la sua forza lavoro fisica è stata sostituita dalle macchine (nelle catene di montaggio e altrove), negli ultimi tempi stiamo assistendo impotenti alla sua sostituzione anche nella produzione intellettuale, cioè proprio in quelle attività considerate a valore aggiunto. L’uomo commette errori, la macchina no. L’uomo si stanca e si ammala, la macchina no. L’uomo si offende, la macchina no. L’uomo ha facoltà di non esprimere tutte le sue potenzialità, la macchina no. L’uomo può reagire o comportarsi male, la macchina no. E così via. L’ordine naturale delle cose appare sovvertito: il creatore della macchina appare imperfetto dinanzi alla sua creatura. Al momento ciò che la macchina non può fare è esprimere un bisogno e porsi domande per soddisfare quel bisogno.

Il paradosso del tempo

Tuttavia, nonostante le infinite potenzialità e i risultati stupefacenti, siamo strangolati dal tempo. Benché l’uomo contemporaneo sia riuscito, grazie alla tecnologia, ad aumentare la velocità nelle comunicazioni, nel trasporto passeggeri e nell’elaborazione dei dati, è sempre in affanno di tempo. Quest’ultimo rappresenta, ahinoi, una costante, mentre i tassi di crescita superano quelli di accelerazione. Il tempo è una risorsa finita e immutabile (24 ore), indipendentemente dai progressi tecnologici. Questo dato, combinato con l’aumento esponenziale delle attività e delle richieste, crea quella che un tempo si definiva forbice tra i compiti e le risorse.  Sebbene la tecnologia acceleri i processi, il numero di compiti e richieste cresce esponenzialmente. Questo porta a una sorta di “sovraccarico esistenziale“, dove il tempo sembra sempre insufficiente.
L’accelerazione tecnologica, pur essendo concepita per semplificare la vita e ridurre il tempo necessario per svolgere compiti quotidiani, sembra paradossalmente generare una cronica carenza di tempo e un ritmo di vita sempre più frenetico.
All’accelerazione tecnologica dovrebbe logicamente accompagnarsi un aumento del tempo libero, che a sua volta dovrebbe far rallentare il ritmo della vita o almeno eliminare o alleviare la “carestia” di tempo. Poiché accelerazione tecnologica significa impiegare meno tempo per svolgere un determinato compito, il tempo dovrebbe abbondare. E invece così non è, in ragione del fatto che ci complichiamo la vita chiedendo cose che fino a un quarto di secolo fa non avremmo mai chiesto. E così la diminuzione del tempo necessario per un compito porta semplicemente a un aumento delle attività complessive. È come se all’interno di una casa, allagata e senza il tetto, il lavoro di un’idrovora venisse annullato da una costante alluvione. Assurdo.

Il criceto nella ruota

Se all’inizio degli Anni ’90 un impiegato tipo riceveva una manciata di lettere (cartacee) al giorno, oggi quello stesso impiegato ne riceve (elettroniche) anche settanta, ma il tempo per evaderle è rimasto sempre lo stesso. La tecnologia ha reso certamente più veloce la comunicazione, ma ha anche moltiplicato le interazioni e le aspettative di risposta immediata.
L’accelerazione tecnologica, quindi, porta inevitabilmente a una serie di mutamenti nelle pratiche sociali, nelle strutture di comunicazione e nelle corrispondenti forme di vita. L’accelerazione dei cambiamenti sociali implica una “contrazione del presente” che conseguentemente determina un’accelerazione del ritmo di vita. La tecnologia, creata per liberarci dal peso del tempo, è essa stessa ad intrappolarci in una spirale di accelerazione e sovraccarico. La tecnologia ci ha portato a chiedere sempre di più, senza fermarci a riflettere sulla reale necessità delle nostre richieste. Questo atteggiamento ha generato una complessità crescente, che non solo sovraccarica l’individuo, ma lo allontana anche dalla comprensione e dal valore del proprio lavoro e di quello altrui. Siamo pertanto passati dalla percezione del lavoro come un processo lineare (“a misura d’uomo”), caratterizzato da una progressione aritmetica, a una totalmente distopica e corto circuitata connotata da una progressione geometrica (“a misura di macchina”) in cui la rapidità e la complessità richieste hanno superato la capacità umana di gestire i compiti con la stessa cura e concentrazione di prima. L’uomo è immerso in un flusso continuo di richieste, senza la possibilità di fermarsi e riflettere. In sostanza, il criceto nella ruota.

Di là dal fiume, tra gli alberi

Se la situazione rimane questa ovvero non si promuove una cultura del rallentamento, non si rivaluta il ruolo della tecnologia e non si riscopre il senso del valore del lavoro e della vita, spezzando definitivamente la catena del “fare per fare”, saremo costretti a un cambio radicale di passo: l’abbandono dell’uomo in favore della macchina. Se chiediamo cose che possono fare le macchine dobbiamo dotarci di macchine, non di uomini. Questo fintanto che avremo l’esclusiva del bisogno e della domanda. Tutti a casa, dunque. L’invito di Comencini (padre) nell’omonimo capolavoro. Dobbiamo prendere subito atto dell’evidenza, come il suo tenente Innocenzi (Alberto Sordi) che all’alba dell’8 settembre 1943 credeva che i tedeschi si fossero alleati con gli americani. Le macchine sono indiscutibilmente superiori in termini di precisione, resistenza e affidabilità. Caratterizzate da “neutralità emotiva”, non presentano i limiti tipici dell’essere umano. A casa i lavoratori poco produttivi, a casa gli scontenti, gli arrabbiati e gli sleali, a casa i cagionevoli di salute e i finti tali, a casa i resistenti al cambiamento e i refrattari all’obbedienza, a casa i polemici e quelli dallo spirito costruttivamente critico. A casa tutti coloro che non aderiscono al nuovo modello di lavoratore o che si oppongono al tornio della nuova ingegneria sociale del lavoro. Siamo entrati, quasi senza accorgercene perché impegnati a correre nella ruota, nella c.d. era del “Darwinismo industriale”, una sofisticata e intelligente forma di selezione artificiale che traccia una nuova linea evolutiva che questa volta parte dall’uomo, non dalla scimmia, senza sapere dove esattamente culminerà. Vogliamo questo? Spingersi oltre ogni limite… ma per andare dove? Di là dal fiume, tra gli alberi, avrebbe detto Hemingway.

Dall’ombra del tornio alla luce della democrazia

Non vogliamo riprendere e rafforzare teorie luddiste, che tanto la storia quanto la tecnologia hanno bocciato. Né vogliamo riprendere argomentazioni di un nietzschiano strumentale che vuole riproporre i temi consunti dell’età dell’oro. Il nostro intento è quello di porre una questione per stimolare le riflessioni, anche alla luce dell’incredibile portata e degli effetti di questa intelligenza artificiale che turba i sonni di molti, anche perché le nuove tecnologie hanno consentito l’emersione di forme deliranti un tempo contenute nell’ambito delle proprie angosce e oggi capaci di aggregarsi fino a costituire massa critica con effetti devastanti sui principi cardine della democrazia. Bisognerà parlarne.

Il “Darwinismo industriale” di Cristhian Re, immagine by Gabriele Re
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