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Umberto Saccone: l’importanza dei segnali deboli

Umberto Saccone: l’importanza dei segnali deboli

Umberto Saccone, Presidente di IFI Advisory, nell’intervista che segue con S News esamina la situazione attuale legata all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.

Dottor Saccone, da studioso ed attento ricercatore, oltre che da uomo d’azienda, lei ha avuto modo di sottolineare, in una sua ricerca, che molte sono state le indicazioni, più o meno fantasiose  nei secoli sino ai giorni nostri, che si sono succedute in merito al Covid-19: da Nostradamus alla Atwood, da Bill Gates a Dean Koontz, da Gwynn Guilford a Kristina Dunz, solo per citarne alcuni, per non parlare dei vari Istituti come il Center for Strategic and International Studies di Washington o del Center for Health Security della Johns Hopkins.
Quindi, tutto questo potevamo evitarlo? Era prevedibile?

Gli allarmi non sono mancati, le previsioni c’erano, perfino le esercitazioni sono state fatte e, quindi, non è qualcosa che non potevamo prevedere. L’insegnamento più importante che possiamo trarre dall’attuale crisi sanitaria ed economica è proprio imparare ad interpretare in modo accurato i segnali, anche se deboli, e gli allarmi che ci giungono dalla comunità scientifica. Tornare a mettere al centro delle decisioni strategiche e politiche la scienza è l’unico strumento che abbiamo per individuare le possibili soluzioni ed evitare che alla scienza sia demandato un solo ruolo accessorio.

Cosa si dovrebbe fare, arrivati a questo punto?
Questo è il momento del fare, ma l’Europa continua a mostrarsi inadeguata specialmente quando dice “Dobbiamo trarre tutte le lezioni dell’attuale crisi e iniziare a riflettere sulla resilienza delle nostre società di fronte a tali eventi. È giunto il momento di istituire un sistema di gestione delle crisi più ambizioso e di ampia portata all’interno dell’Ue, compreso, ad esempio, un vero centro europeo di gestione delle crisi”.

Oppure quando Guy Verhofstadt, l’ex presidente del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali al Parlamento europeo, dice: “Negli ultimi due mesi una cosa è diventata chiara, è che non possiamo continuare così, che non può essere business-as-usual, tutto come al solito. La cooperazione intergovernativa è assolutamente insufficiente per affrontare una crisi pandemica della portata che abbiamo di fronte oggi. Abbiamo bisogno di un centro di decisione e di una linea di comando e questo su scala continentale”.

Evidentemente tra i leaders europei, e non solo, i concetti di business continuity, o continuità operativa, non sono esattamente di casa. Come fare lo sappiamo ed esistono norme e buone pratiche che da decenni dicono come si deve gestire una crisi.

Quale il prossimo step?
Oggi è fondamentale integrare i valori e gli approcci della continuità operativa all’interno dei valori e della cultura della comunità. Difatti il suo successo dipende dal livello di integrazione con le strategie europee. Più la continuità operativa è presente nella cultura statuale, maggiore sarà il suo peso nella definizione degli obiettivi e delle strategie della comunità.

In questo senso gioca un ruolo fondamentale quella che viene chiamata la consapevolezza della leadership, ovvero la presa di coscienza, da parte dei governanti del ruolo fondamentale giocato dalla continuità operativa in tempo di crisi per la convivenza sociale e la sopravvivenza politica ed economica dell’Europa.
La consapevolezza è un processo dinamico molto complesso. Un’organizzazione, soprattutto nella fase di prima istituzione di una politica e di un sistema di gestione di continuità operativa, deve avere riguardo ad implementare dei meccanismi che permettano di diffondere all’interno dell’organizzazione la cultura della continuità stessa. Solo grazie ad un’integrazione ed allineamento di quest’ultima con la strategia e la cultura di tutte le nazioni è possibile sviluppare un sistema di gestione efficace che potrà aiutarci ad affrontare le sfide che certamente si proporranno per tutta l’umanità nel prossimo futuro. Penso per esempio, ma non solo, al bioterrorismo, arma contro l’umanità, di fatto una minaccia reale che rischia di mettere a dura prova l’intero sistema sociale con il quale rischiamo di doverci confrontare nei prossimi decenni e che potremo sconfiggere solo se saremo sufficientemente preparati a gestire crisi globali.

Quale dunque il driver, nell’attuale situazione?
Il principale driver sarà l’ampiezza e la velocità con cui i governi del mondo reagiranno e riusciranno a coordinare la politica fiscale e monetaria e ad aumentare significativamente le misure di stimolo.
È possibile che Stati Uniti e Cina mettano da parte le differenze strategiche al fine di guidare congiuntamente una risposta che deve necessariamente essere globale e non prevaricata da inclinazioni nazionalistiche, con conseguenti restrizioni all’esportazione e interruzioni ancora più gravi della catena di approvvigionamento.
I prossimi tre mesi vedranno un forte calo al ribasso delle prestazioni economiche mondiali e nel caso di comportamenti nazionalistici estremi potrebbe esserci veramente il rischio di un collasso economico catastrofico altamente disruptive per l’economia del pianeta.

Poiché ci sono così tante incognite, la modellizzazione economica di questa situazione in continua evoluzione è estremamente difficile, in particolare per l’Italia che, se non salta le barriere ideologiche che da decenni l’hanno avviluppata, non consentendole di primeggiare, come avrebbe potuto, ne subirà le conseguenze, pagando un prezzo enormemente alto sia sul piano sanitario sia sul piano sociale.

a cura di Linda R. Spiller

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