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“Un capolavoro chiamato Italia. Un racconto a più voci di un patrimonio da tutelare, proteggere e valorizzare” di AA.VV. Recensione di Cristhian Re, S News

“Un capolavoro chiamato Italia. Un racconto a più voci di un patrimonio da tutelare

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

[Art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana]

“Noi siamo il Paese della bellezza, della sindrome di Stendhal e dell’art. 9. È l’articolo più originale, quello copiato da tutti. Siamo stati i primi nel mondo a metterlo tra i principi fondamentali. Adesso, ogni tanto, osa qualcuno. Quando scrissero questo articolo, i nostri Padri Costituenti e Madri, c’era così tanta miseria che il Governo Parri mise  il prezzo politico del pane. Non c’era il pane! e loro erano lì a scrivere la difesa di questi beni immateriali. Non c’era una lira, ma quei pochi centesimi che avevano li hanno destinati lì! Guardavano lontano, sapevano che era meglio un popolo vestito bene, bello e con un po’ di fame che uno sazio e devastazione tutt’intorno. Hanno protetto la nostra memoria. L’art. 9 esprime come principio giuridico la nostra memoria storica. È legge. Dovete sempre sapere chi siete, ci stanno dicendo, che siete una cosa straordinaria. Ci hanno rifatto una carta d’identità nuova. Il paesaggio italiano non è un paesaggio qualsiasi… è proprio un marchio, sta negli occhi, nella mente e nella memoria dell’anima di tutto il mondo. Cosa hanno voluto dirci i nostri Padri Costituenti? Vogliate bene alla vostra Mamma. Questa Nazione, questa Terra, la nostra memoria storica e le opere d’arte siamo noi, la nostra immagine… è nostra Madre”.

[Roberto Benigni, “La più bella del mondo”,
esegesi dei dodici Principi fondamentali della Costituzione italiana]

La Fondazione Enzo Hruby è riuscita in un’operazione nobile, ardita e ambiziosa insieme: raccogliere in un saggio gli apporti di alcuni dei maggiori esperti dei beni artistici nazionali, dai responsabili delle grandi istituzioni agli studiosi e giornalisti, ai rappresentanti delle Forze dell’Ordine, protagonisti stessi dell’attività di tutela del patrimonio.

Come per districare le gomene di una nave si segue un filo rosso che rende possibile separare l'una dall'altra, così il lettore dipana il fil rouge di questa opera corale lungo tre  direttrici:

– la tutela del patrimonio ieri e oggi;
– l’arte come motore dell’economia;
– la sicurezza al servizio della cultura.

All’interno di ciascuna di esse confluiscono i trentatré preziosi contributi che sviluppano e approfondiscono le distinte tematiche. I vari “racconti” di testimonianza, di critica (feroce come quella di Armando Massarenti che non risparmia agli italiani l’apostrofe di analfabeti seduti su un tesoro e inclini al turismo d’accatto) o di analisi si traducono in un viaggio che sottolinea, in particolare nella prima parte del volume, come i grandi beni del passato siano la migliore garanzia per il nostro futuro e una delle potenziali risorse per la crescita economica nazionale. Al termine della seconda parte – con i casi offerti dai Musei Vaticani, Pompei, Venezia, Torino in cui il bisogno di conservazione e sicurezza si coniuga con la promozione delle opere d’arte e dei grandi eventi, con le mostre e le esposizioni ad esse legate – il lettore realizza che si tratta dell’unica risorsa possibile. Nella terza e ultima parte si pone l’enfasi, invece, sulla sicurezza al servizio dell’arte. Sono descritte, infatti, realtà come Bologna, Milano, Vicenza in cui si è raggiunto un giusto equilibrio tra la protezione e la valorizzazione dei beni custoditi. La tecnologia si trasforma così in efficace strumento per il rilancio e la promozione delle opere del patrimonio culturale.

Tutto muove dalla consapevolezza di essere [l’Italia] uno straordinario “Museo a cielo aperto”, di possedere un patrimonio culturale inestimabile così vasto e diffuso da renderlo un capolavoro unico e amato (sarebbe meglio dire appetito) da tutto il mondo. Ma è al tempo stesso un’opera fragile che richiede cure e attenzioni costanti e su cui da sempre (dal 390 a.C. verrebbe da dire, cioè dal primo sacco di Roma ad opera di Brenno) incombono minacce quali furto, traffico illecito, vandalismo, ecc.

Solo dopo millenni di guerre, devastazioni e depredazioni si giunge in Italia – era il 1975 – a una matura presa di coscienza. È la notte tra il 5 e il 6 febbraio quando vengono trafugati dal Palazzo Ducale di Urbino tre dipinti (due di Piero della Francesca e uno di Raffaello). Quel furto segna un discrimine nella tutela del patrimonio artistico italiano sebbene, è bene rimarcarlo, l’istituzione del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale risalga al 1969, precedendo addirittura la Convenzione UNESCO di Parigi del 1970 con la quale si invita, tra le altre cose, gli Stati membri ad adottare le opportune misure per impedire l’acquisizione di beni illecitamente esportati e favorire il recupero di quelli trafugati. La sottrazione di quelle tre opere (poi fortunatamente e fortunosamente recuperate) svela con forza la vulnerabilità del nostro Bel Paese e scatena una “corsa alla sicurezza”.

Come ci ricorda Francesco Rutelli (forse anche lui ispirato da Benigni), un aspetto di notevole modernità della Costituzione Italiana è rappresentato proprio dall’articolo 9. Una modernità, ancora oggi, di una lungimiranza assoluta: associare cultura, scienza e tecnologia come fattori di sviluppo e legare il patrimonio storico-artistico al paesaggio; impostazioni strategiche per alcuni caratteri fondamentali dell’Italia, ma tuttora poco organizzati e valorizzati.

Di qui invito di Carlo Hruby a una maggiore collaborazione tra pubblico e privato in tema di investimenti e l’appello -“imperativo categorico” del Gen. Roberto Conforti alla necessaria condivisione della responsabilità della tutela del nostro patrimonio con tutte le componenti della società, dai cittadini agli amministratori passando per i singoli visitatori.

di Cristhian Re
 

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