Una riflessione sulla sicurezza dei siti produttivi
Una riflessione sulla sicurezza dei siti produttivi oggi in Italia deve cominciare dal capire, dal comprendere quanto la crisi in atto abbia inciso sulla realtà sociale e produttiva, sulle fabbriche, sui trasporti, sulle maestranze, sui fornitori e, quindi, di riflesso, sulla sicurezza industriale, e come quest’ultima abbia dovuto fare i conti con nuovi problemi o, come si dice, con nuove opportunità.
Forse, se i dati di questo primo quadrimestre del 2015 sono corretti e manterranno nei prossimi mesi i loro trend, possiamo dire che il punto più basso della parabola l’abbiamo toccato: siamo in ripartenza. Ma, certo, i numeri di PIL persi (si discute sui numeri esatti, ma comunque tutti concordano in un range tra i 15 ed i 20 punti di percentuale) ed il buco del manifatturiero pesano sulle nostre realtà. Molti i posti di lavoro perduti, molte le aziende, piccole, medie o grandi, che hanno dovuto o chiudere o rivedere il proprio perimetro d’azione, e gli effetti della crisi sono tuttora molto forti, specie in alcune aree del Paese.
Proprio mentre sto scrivendo queste righe la Whirlpool ha appena annunciato un piano di ristrutturazione aziendale che prevede in Italia più di 2000 esuberi.
Partendo da questo tema possiamo dire che la sicurezza industriale in genere e quella di tutte le aziende manifatturiere ha dovuto porre la sua attenzione su temi relativamente nuovi o ritenuti, nel passato, di minor peso, ed è stata sicuramente chiamata, a parità di perimetro, ad una seria e concreta revisione dei costi: stessa efficacia, ma con maggiore efficienza.
Tra le nuove opportunità aperte dalla crisi c’è stata la ricerca, fatta dalle piccole e medie aziende anche con grande coraggio e buttando, come si dice, il cuore oltre l’ostacolo, di nuovi mercati esteri, su cui andare a presentarsi e a competere.
Nuovi mercati, spesso extra UE, significa differenti criticità dovute a rischi non competitivi, nuovi e non conosciuti, legati a situazioni sociali differenti, non sempre adeguatamente soppesati nella affannosa ricerca di aree vergini da acquisire o di nuove opportunità da cogliere.
Significa, per la sicurezza industriale, la tutela dei trasporti sia delle merci che, e forse ancor di più, dei viaggiatori, dalla protezione del business da reati meno usuali legati alle nuove realtà (pensiamo ad esempio a sequestri lampo o a truffe/richieste più o meno velate di tangenti) alla incolumità fisica dei nostri dipendenti, dovuta a situazioni delinquenziali locali esasperate (per cui scelta di tratte, di alberghi, di residenze, di mezzi e modalità di viaggio), alle attenzioni dovute per la loro permanenza in aree non coperte da sistemi di welfare europei e quindi il problema dell’intervento e del supporto sanitario in loco, al recupero e rimpatrio di viaggiatori infortunati o ammalati, alla necessità di fornire loro indicazioni adeguate circa le realtà sociali, gli usi e i costumi delle popolazioni locali, con cui si trovano ad interagire.
Lì dove interessati da riduzione di perimetri, un tema nuovo per il mercato italiano è stato la tutela dei siti dismessi o temporaneamente chiusi. Al di là delle tematiche sindacali dovuta alla chiusura di siti produttivi in cui, grazie alle esperienze di anni non troppo lontani, la capacità di interazione della sicurezza era abbastanza provata, la novità è stata nella tutela di siti chiusi, che sono stati mantenuti nel patrimonio aziendale, o nella speranza di una ripartita o per impossibilità di una loro alienazione.
Qui il tema è stato (ed è tuttora), al momento della chiusura, come poter collaborare con l’azienda nello stoccare e proteggere i mezzi di produzione, valutando, volta a volta, l’opportunità di un loro ripiegamento e stoccaggio su altri siti, o il loro riciclaggio in altre attività. E, successivamente, chiuso il sito, come tutelarlo da infiltrazioni, vandalismi, occupazioni (dai saccheggiatori, passando per gli occupanti abusivi ed arrivando agli organizzatori di rave party), come mantenerne, possibilmente inalterato, il valore immobiliare, e come garantirne la possibilità di riapertura, senza troppi sforzi, imparando, inoltre, ad interagire con le autorità e le forze dell’ordine locali, per loro natura meno attente ad una realtà dismessa.
Tema caldo, sempre del momento di crisi, è l’interazione con le realtà produttive limitrofe e come una loro problematica, ad esempio sindacale, possa riverberarsi sulle nostre realtà.
La trama di un film classico e già visto: la nostra azienda va bene, il vicino ha problemi, ipotesi di chiusura, blocco da parte delle sue maestranze della strada di comunicazione tra la zona industriale e la viabilità ordinaria, che si traduce in una limitazione ai nostri trasporti ed, in un sistema just in time, in possibili danni a cascata sui nostri clienti.
Da qui la necessità di fare intelligence, di comprendere non solo il nostro perimetro ma anche quello vicino (in anni lontani avrei parlato di aree di responsabilità ed aree di interesse).
Fornitori: è ovvio che l’attenzione della sicurezza industriale sui fornitori in tempi di crisi deve aumentare. Nel fornitore la tentazione di recuperare in competitività aggirando od ovviando ad obblighi di legge, ad esempio verso i dipendenti, può essere concreta; per cui disporre od aumentare il controllo dei dipendenti di ditte terze, che entrano nel perimetro aziendale anche dal punto di vista del rispetto della legislazione sul lavoro.
In tempi di crisi aziendali, l’attenzione nelle forniture di materie prime, sia nella correttezza delle spedizioni che nelle tempistiche, deve aumentare: ripetuti ritardi nelle consegne devono, ad esempio, essere un campanello di allarme su una possibile difficoltà strutturale del fornitore stesso, con rischi sulla nostra produzione.
Da ultimo: stessa efficacia ma con maggior efficienza. E’ indubbio che in un periodo di crisi la riduzione dei costi diventa un must per tutte le funzioni aziendali e, quindi, anche per la sicurezza. Come fare a mantenere inalterato il livello di protezione dei beni, dell’azienda, riducendo i costi, è un tema sempre presente, ma penso che sia stato uno degli argomenti di discussione più ricorrenti nelle nostre aziende, in questi ultimi anni.
Di qui il ruolo che ha avuto la capacità innovativa di guardare alla stessa realtà con occhi diversi e di capire come, utilizzando sistemi nuovi, sia organizzativi che tecnologici, fosse possibile fare delle efficienze.
A volte anche la sola riorganizzazione di un flusso logistico ha portato significativi risparmi. Quanto vale, lì dove possibile, la chiusura di un accesso mantenuto magari per vecchia tradizione? E poi l’attenzione alle nuove tecnologie, viste non già come sostitutive ma come opportunità di supporto e di integrazione al fattore umano. Per esempio, lì dove le tecnologie, lavorando sul recupero del lavoro di routine, permettono alla sorveglianza di concentrare l’attenzione su temi di maggior criticità.
In questo momento, altro tema importante è stato quello di saper valorizzare, saper quantificare, anche dal punto di vista monetario, l’attività svolta dalla sicurezza industriale, intesa non solo come mera protezione del bene, ma come attività proattiva, volta alla tutela del business a cominciare da quanto vale, e come quantificare il servizio e l’attività della sicurezza in termini di controllo delle merci, in entrata ed uscita dai plant, di controllo sugli scarti, sui resi, sui fornitori.
di Mauro Masic, Presidente AIPSA