Quando si progetta un sistema di videosorveglianza si hanno diversi obiettivi da raggiungere. Uno di questi è la ricostruzione di un evento e l’identificazione del responsabile in ambito forense.
Le telecamere di sorveglianza, che si vedono installate ovunque, costituiscono un mezzo di prova rilevante nel processo penale ma anche in quello civile, quando si trattano, ad esempio, incidenti stradali o infortuni sul lavoro. Le forze dell’ordine, frequentemente, fanno ricorso all’utilizzo di telecamere per le loro indagini. In un’accezione più ampia, ogni possessore di un telefonino ha a disposizione un sistema di videosorveglianza.
La norma tecnica CEI EN 50132-1, che specifica le prescrizioni minime che devono essere concordate tra cliente e fornitore quando viene realizzato un progetto di videosorveglianza, richiede che vengano definiti livelli qualitativi minimi delle immagini prodotte in relazione a criteri di riconoscibilità di eventi e possibilità di identificazione di soggetti. Deve essere preventivamente noto che il filmato prodotto, a seguito di un evento criminoso, sia adatto ed efficace per un utilizzo forense. Il fatto che allo scopo venga utilizzato il metodo Rotakin – descritto nel 1997 quando non esistevano le telecamere digitali – piuttosto che i pixel per metro del field of view, certamente più utile in ambito forense, non è discriminante. Importante è che un criterio venga adottato nelle prescrizioni progettuali.
La stessa norma, si occupa però anche delle genuinità del filmato. Indica infatti la necessità di disporre immagini di cui si possa dimostrare la genuinità.
Le norme tecniche possono certamente supportare l’esposizione dei periti in un dibattimento, ma non hanno alcuna valenza giuridica.
La videoforensics è derivata dalla Digital Forensics. Il riferimento giuridico in questo ambito è costituito principalmente dalla legge 48/2008, il codice di procedura penale, il codice dell’Amministrazione digitale ed alcune sentenze, come quella di Garlasco, che in questo ambito hanno fatto certamente giurisprudenza.
Si parla quindi di investigazioni digitali su reperti video quando, a partire da un dato digitale, quale è un filmato, si compiono le operazioni di repertamento, che sono atti irripetibili, e successivi accertamenti.
A differenza di altri settori, come la computer forensics, in cui l’investigazione digitale è svolta primariamente su dati, che sono direttamente in relazione con una delle parti del processo, per cui l’acquisizione del reperto informatico è normalmente curata, spesso le immagini di videosorveglianza sono nella disponibilità di terzi – privati o enti pubblici – che nulla hanno a che fare con l’indagine. In questi casi, non è infrequente che si realizzino “acquisizioni”, che non seguono alcuna best practice.
L’utilizzo di una specifica best practice per l’acquisizione di un sistema di videosorveglianza, oltre a contrastare la fragilità della digital evidence, ha l’obiettivo di raccogliere i dati rilevanti necessari a definire il contesto in cui sono presenti i filmati di interesse.
Le applicazioni di videosorveglianza si ritrovano in ambiti molto diversi, così come, da un punto di vista tecnologico, è disponibile una gamma di implementazioni molto ampia, che fanno uso di tecnologie eterogenee, anche combinate tra loro.
Un’attenzione particolare deve essere posta alle pratiche di anti-forensics, in relazione ai sistemi di videosorveglianza. In parole più semplici, quando impianti di videosorveglianza possono essere utilizzati per creare falsi alibi.
Se si può dire che il dato informatico “nasce da una pregiudiziale di inattendibilità”, questa affermazione è ancora più vera quando si tratta di riprese video. Alla pregiudiziale di inattendibilità del dato informatico, contenente il video, risulta necessario mantenere un livello ancora maggiore di pregiudizio, quando si tratta di valutare la genuinità dell’informazione digitale contenuta, cioè delle immagini, che potrebbero essere “artatamente costruite”.
In conclusione è necessario, da un lato fornire un approccio sistematico a questa branca della digital forensics, che definiamo Videoforensics, analizzando gli obiettivi forensi specifici, gli ambiti in cui si può parlare di videosorveglianza, le tecnologie utilizzate, per arrivare a definire una best practice specifica. Dall’altro formare e supportare i Security Manager per definire le corrette procedure, affinché il prodotto della videosorveglianza, cioè il filmato video, sia trattato correttamente per essere utile ed efficace in ambito forense.
Perché, ad esempio, non definire preventivamente le modalità di estrazione e certificazione dei filmati in caso di richieste da parte delle forze dell’ordine, tenendo conto delle competenze tecnico-giuridiche necessarie?
di Antonmarco Catania