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Videosorveglianza: privacy, termini di conservazione e dati biometrici

Videosorveglianza: privacy

Come affermato durante l’ultima Conferenza internazionale dei Garanti per la privacy, svoltasi in Uruguay lo scorso ottobre, sviluppo tecnologico e protezione dati non sono in contrasto e devono trovare un giusto equilibrio. Occorre, dunque, porsi come obiettivo quello di individuare approcci e soluzioni che consentano di conciliare il rispetto per la vita privata con lo sviluppo tecnologico e i benefici che da quest'ultimo derivano.

In materia di videosorveglianza l’avanzare della tecnologia e la sempre maggiore l’integrazione del mondo della videosorveglianza con quello dell’informatica ha permesso la diffusione massiccia del suo utilizzo e portato a una sempre maggiore invasività nella sfera privata delle persone. Si pensi ai moderni sistemi controllabili attraverso Internet e perfino da un cellulare di ultima generazione, in grado di permettere la gestione da remoto di più sistemi da un’unica postazione anche a chilometri di distanza.

Ma non tutto è permesso. Ecco perché risulta indispensabile avere ben chiare le norme che disciplinano la materia, a tutela dei dati personali e dei diritti dei lavoratori.
Per quanto riguarda quest’ultimo ambito, di recente abbiamo assistito ad alcune importanti novità. La prima riguarda la procedura dettata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), che vieta tassativamente l’utilizzo della videosorveglianza per controllare l’attività dei lavoratori, ma lo permette laddove risulti necessario per specifiche esigenze organizzative e produttive o di sicurezza, prescrivendo, in tal caso, l’obbligo di ottenere un accordo con le rappresentanze sindacali interne o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro (attraverso una procedura di recente semplificata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota del 16/04/2012). La violazione dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori costituisce reato. Sul tema, di grande interesse è la sentenza della Corte di Cassazione penale dello scorso giugno (n. 22611/2012) che ha statuito che non è reato installare un impianto di videosorveglianza, pur in mancanza della procedura prevista dal citato articolo, se vi è consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori. La decisione della Cassazione pone numerosi interrogativi: posto che pretende il consenso di tutti i lavoratori, cosa succede laddove un lavoratore dovesse revocare un consenso precedentemente prestato? Ne dovrebbe derivare l’obbligo di spegnere immediatamente il sistema e procedere con la procedura dettata dallo Statuto dei Lavoratori. Oltre a ciò, tale pronuncia non sembra tener conto della tutela che lo Statuto dei Lavoratori e la progressiva giurisprudenza hanno costruito per equilibrare i rapporti datore/dipendenti, e neppure del fatto che la previsione relativa alle garanzie dettate dallo Statuto dei Lavoratori è espressamente prevista nel Provvedimento del Garante dell’8 aprile 2010 e nel Codice della Privacy.

Un altro aspetto di grande rilievo per tutte le realtà in cui esistono importanti esigenze di sicurezza riguarda i termini di conservazione dei dati. Il Provvedimento del Garante impone alle banche un tempo di conservazione non superiore alla settimana. E’, però, possibile sottoporre a verifica preliminare dell’Authority eventuali richieste di prolungamento, nel caso in cui sussistano specifiche esigenze di sicurezza. Di recente, il Garante ha ammesso la conservazione delle immagini registrate per 24 mesi (Provv. n. 286/2011) e 90 giorni (Provv. n. 300/2011).

Infine, è d’obbligo un breve accenno ad un sistema che sta avendo una diffusione sempre maggiore, in particolare negli istituti di credito, ovvero l’utilizzo dei dati biometrici, anche in abbinamento con il sistema di videosorveglianza. Il Garante ha dedicato a questa delicata tematica, con particolare focus per gli istituti di credito, il Provvedimento del 27 ottobre 2005, in cui ha dapprima ribadito il principio secondo il quale l’utilizzo generalizzato e indiscriminato di sistemi che consentono l’identificazione degli interessati mediante la combinazione di diversi sistemi di rilevazione dati non è consentito, poiché contrasta con il principio di necessità. Ha, poi, ritenuto che tale tipologia di controllo possa essere lecita laddove con essa si debba perseguire la finalità di elevare il grado di sicurezza di beni e persone, a causa del sussistere di concrete situazioni di rischio supportate da specifici elementi riconducibili a circostanza obiettive, disciplinando l’utilizzo dei dati biometrici in modo peculiare e prevedendo adempimenti specifici, stante il fatto che tali dati sono di natura tale da richiedere l’adozione di elevate cautele.

di Monica Belfi, Avvocato Partner ISL Consulting

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