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Fu vera peste?

Cristhian Re Security Manager Il Dazebao

Anche la peste ne “I promessi sposi” ad un certo punto finisce. Tant’è che la vita dei protagonisti-sopravvissuti riprende da dove si era interrotta. Anche quel pavido di don Abbondio, certo del trapasso di don Rodrigo, celebra (in presenza, non da remoto) il matrimonio tra Renzo e Lucia nella stessa chiesa in cui avrebbe dovuto farlo tempo prima. Si ritorna, quindi, alla normalità o, se si preferisce, a una regolare quotidianità. È bene rammentare che tra il 1630 e il 1631 la peste aveva falcidiato il 27% della popolazione dell’Italia settentrionale (1,1 su 4 milioni).

In Italia tra il 2020 e il 2022 il COVID causa la morte di circa 252.000 persone su una popolazione di circa 60 milioni (0,4%).

Questi i numeri. Il resto lo lasciamo alla speculazione.

Anche il COVID, come la peste del Manzoni, ha perso il suo mordente. Tuttavia, oggi, rispetto al XVII secolo, non tutti i sopravvissuti sono tornati alla normalità, pardon, alla regolare quotidianità. In particolare, ci riferiamo a quei sopravvissuti che per mestiere insegnano agli altri il modo di sopravvivere, fronteggiare, superare, gestire gli eventi di crisi, financo quelli catastrofici e su quelle materie di studio li certificano, abilitano e qualificano.

La didattica a distanza è stata un coatto succedaneo di carattere tecnologico cui scuole, università e istituti di formazione in genere si sono dovuti piegare; certamente utile per alcuni aspetti, ma dannosissimo per altri.

Ringraziando il cielo le scuole, prima, e le università, poco dopo, hanno ripreso le lezioni in presenza da oltre due anni, evitando così di aggravare quel disagio psicologico cui i giovani erano stati costretti durante il funesto biennio (2020-2021). Classi divise e con lezioni a giorni o fasce orarie alterni, mascherine in dosso, banchi distanziati, mense chiuse, intervalli passati al banco, mani frequentemente igienizzate, finestre e porte aperte per la circolazione dell’aria e tutte le altre misure con cui tutti noi abbiamo dovuto familiarizzare e convivere in quel periodo, è manifesto siano definitivamente alle spalle. Eppure…

Se il mondo intorno a noi sembra essere tornato, come l’Agnese del Manzoni, alle proprie “faccende affaccendato”, a volto scoperto e mani lendinose, per quale ragione prestigiosi istituti, scuole di alta formazione professionale e addirittura Organismi di certificazione perseverano nella FAD (formazione a distanza) e nella “CAD” (acronimo coniato dallo scrivente indicante certificazione a distanza)? Il ricorso forzato, ancorché non necessario o richiesto, a strumenti ultra tecnologici di ultima generazione e sofisticate modalità telematiche, con tanto di tests informatizzati che rimpiazzano esami orali e tradizionali prove scritte in aula, può apparire non solo sospetto ma anche irriguardoso nei confronti di chi, invece, orali e prove scritte li ha sostenuti in presenza sottostando a rigidi formalismi notarili.

Il fenomeno cui continuiamo ad assistere sovverte la legge della domanda e dell’offerta: si richiede una cosa (corsi regolari in presenza), ne viene offerta un’altra (da remoto). Ma la peste è finita. Vogliamo prenderne atto? Di norma l’offerta (bene o servizio) cerca di intercettare la domanda (il bisogno), non il contrario. Una sorta di innaturale legge della domanda prevaricata dall’offerta.  

Chi desidera imparare è posto di fronte a una scelta: la classica aula (con docenti e compagni in carne ed ossa) o lo schermo; solo i più neghittosi sceglieranno il secondo. È come se un entusiasta estimatore della caffeina, in tempo di pace e con facoltà di arbitrio, tra un espresso 100% arabica e il caffè di cicoria, propendesse per quest’ultimo. Decisione quantomeno incomprensibile.

Tornando a quelli che un tempo si sarebbero definiti meno pomposamente corsi per corrispondenza, il rapporto telematico è in tutta evidenza un eccellente sussidiario quando manchi la possibilità del rapporto diretto. Il COVID – lo sappiamo bene – ci ha imposto di cedere alla necessità di cui abbiamo fatto virtù. In assenza di questo sgradevole intruso ci domandiamo, allora, quali siano i vantaggi e chi ne benefici. È lampante la convenienza economica per l’ente erogante, in ragione della drastica riduzione dei costi legati alla docenza, alla presenza di personale amministrativo e d’aula, alla logistica, alla cancelleria, ecc. che si riflette nei fatti poco o punto nella quotazione dell’offerta se confrontata al periodo pre-COVID. Non si negano, ovviamente, i sensibili vantaggi anche per i fruitori, in termini di contenimento dei costi di trasferta, minore assenza dal lavoro, maggiore comodità.

Chi opera nel campo della formazione sa bene che la trasmissione della conoscenza ha anche una componente fisica fatta di comunicazione non verbale, partecipazione emotiva, vibrazioni, sensazioni tattili e olfattive che sommata alle nozioni impartite genera comprensione, ritenzione e successiva capacità di rievocazione. Talvolta, il semplice gesto del docente stimola la memoria del discente più del contenuto stesso del dato. Lo schermo, invece, attraverso cui partecipiamo a una realtà che è destinata a restare virtuale (un simulacro), è un diaframma, non un elemento di mediazione. Il vero medium è il c.d. device, strumento di mediazione portatore, però, dei suoi limiti, differentemente dal rapporto personale che è comunicazione pura.

Senza rifuggire dalle infinite potenzialità offerte dalla tecnologia e dall’era della digitalizzazione, ma, come sanno i melomani, ascoltare Bach su un disco non equivale ad ascoltarlo in una sala di concerto. Nell’un caso si tratta di registrazione che coinvolge l’udito, nell’altro di fruizione piena che interessa la temperatura corporea, le reazioni dell’epidermide e dell’intero assetto pilifero alle vibrazioni sonore e tanto altro. La poltrona stessa è partecipe di quest’immersione totale nella carnalità e nella consumazione del rapporto.

Mi pare che le rinunce siano troppe; un freno va posto per impedire all’omologazione di far premio sulla libertà soggettiva. Non chiedo poltrone, ma spero si possa tornare su comunissimi banchi di legno per ristabilire quel rapporto tra docenti e discenti nel tradizionale, storico e irrinunciabile rapporto frontale, recuperando così quell’oralità capace di garantire l’osmosi nella cessione del sapere.

Cristhian Re

Security Manager con oltre venti anni di esperienza maturata nell’industria della difesa, dell’energia, delle multiutilities, della siderurgia e dei semi conduttori. Laureato in Scienze Politiche e in Lettere, Master of Arts in Intelligence and Security. In ambito professionale è certificato CBCI, PFSO, Lead Auditor ISO 9001, 37001, 22301, 27001, 20000-1. Articolista e membro del Business Continuity Institute Italy Chapter, del Comitato Scientifico della rivista S News e del Centro Interistituzionale di Studi e Alta Formazione in materia di Ambiente (CISAFA). Autore de “La misurazione della sicurezza” – (Ed. Bit.Book) e di “Introduzione all’analisi dei rischi” (Ed. Edisef). Ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri.

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