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Sistema di Sistemi – il Dazebao della Security

Sicurezza

Recentemente ho raccolto l’invito del gentile amico prima ancora che autorevole Security Manager, Alberto De Carolis, a tenere un intervento in tema di geopolitica rivolto principalmente a studenti universitari. Quale semplice appassionato alla materia più che esperto, sono stato un po’ riluttante sulle prime ad accettare la proposta, per la vertigine che l’argomento in sé genera. Riflettendo, poi, ho cercato di trasformare, come mia abitudine, quello che percepivo come un vuoto (uomo d’azienda e non un accademico) in un pieno (la scelta di un terreno a me più congeniale e favorevole).

Di qui il titolo partorito: “Impresa e minaccia nei mutamenti del quadro geopolitico. La Security”, circoscrivendo così ambito e portata. Tradotto: il ruolo della Security in relazione alle possibili minacce gravanti sulle aziende e derivanti da decisioni di natura geopolitica.

Un perimetro, questo sì, che rientra tra le competenze di un professionista della Security. Infatti – non ci stancheremo mai di ripeterlo – il Normatore, che ha revisionato nel 2015 la UNI 10459 e nuovamente nel 2017, voleva un manager che alla conoscenza dell’Intelligence unisse l’applicazione del metodo di analisi, teoria e pratica insieme. Al cpv 17 del § A.3 si fa preciso riferimento al Ciclo di Intelligence laddove prevede che egli coordini tutte le attività necessarie alla raccolta, elaborazione e gestione delle informazioni a supporto delle decisioni strategiche del business. Vi è di più, molto di più. Egli è chiamato anche a supportare l’analisi dei contesti geopolitici, situazioni paesi, scenari per la security macroeconomici generali (sistema economico, variabili economiche e loro interdipendenze) di settore e di mercato (business intelligence, competitive intelligence). Al cpv 30 deve relazionarsi con gli enti della security nazionale preposti all’intelligence economica, alla sicurezza e ordine pubblico, nell’ambito della “partnership” tra pubblico e privato.

Sulla carta più che il profilo di un responsabile della Security quello del Direttore dei Servizi Segreti di un’entità statuale. Realisticamente parlando, già per sopperire a queste due sole richieste del Normatore (sulle trenta lanciate a pioggia!) il nostro Security Manager dovrebbe dedicare tutto il suo tempo a compulsare i testi di Kjellén, Mackinder, Spykman, Lacoste, etc. e non a sfogliare distrattamente Limes all’occasione.

Cosa hanno in comune geo-politica e Security? Nulla. Mi hanno insegnato in corsi specialistici di 1.500 ore che sono due rette parallele in un universo convergente

Gli effetti delle scelte nel primo campo si riverberano nel secondo obbligando a un’ impotente presa d’atto e, talvolta, a una disperata corsa ai ripari. Forse tra le mille e una definizione circolanti di geo-politica, tutte valide poiché nessuna di esse universalmente accettata, la più efficace risulta quella lapidaria di “Il Tigre”, al secolo Francesco D’Agostino, mio mentore e paziente direttore spirituale: “Diplomazia in punta di sciabola”. Arguta e coltissima variante di “Filosofia sulla punta di un coltello” del cinese Zhang Wenmu. La sua disarmante essenzialità, nel richiamare i Padri della geo-politica e non gli epigoni, apre a una complessità caratterizzata da una condizione permanente di conflitto (manifesto o latente) dove gli attori sono solo gli Stati nazionali, per la semplice ragione che qualsiasi altro soggetto corre sull’altra parallela: quella condannata a prendere atto.

Una corretta geopolitica dovrebbe in primo luogo proporsi di individuare le rappresentazioni geografiche che esprimono le percezioni profonde degli interessi nazionali, afferma il gen. Carlo Jean. Gli interessi degli Stati in politica estera sono denominati nazionali, prosegue l’illustre generale. Per sapere cosa l’Italia intenda per interesse nazionale basta consultare il Libro Bianco pubblicato nel 2015 dal Ministero della Difesa; al § 54 protezione degli interessi vitali e strategici e al § 59 la capacità di attirare gli investimenti stranieri e lo sviluppo del commercio internazionale

Tuttavia, alle ferme dichiarazioni istituzionali, nel nostro Paese è seguita una politica di cessione e vendita. Solo negli ultimi 20 anni sono migliaia le aziende italiane (marchi storici celeberrimi) acquisite o controllate da Paesi esteri nei settori del lusso, abbigliamento, alimentare, finanza, industria, energia, trasporti, telecomunicazioni, calcio, etc. etc. Tutto questo sembra assumere una dimensione strategica: quasi una colonizzazione stilistica e culturale. Lo è? È forse un caso che i quattro maggiori Paesi investitori in Italia, sommando le percentuali dei quali si raggiunge oltre il 60%, coincidano con i quattro che detengono una larga fetta del debito pubblico italiano? È sempre un caso che i Paesi esteri con cui le nostre aziende fanno business siano sempre i Soliti Quattro? O è Il Caso?

Da alcuni decenni le vere guerre sono quelle che abilmente non si combattono a suon di artiglieria, ma a silenti colpi di bit e stock. Niente bandiere, niente uniformi, dice Russel Crowe nel film “Body of lies”. Hai la tua truppa lì sul campo e tutti che si guardano intorno e fanno: «Beh, contro chi stiamo combattendo?». In una situazione del genere i tuoi amici si vestono come i tuoi nemici e i tuoi nemici come i tuoi amici. È esattamente così. Già nel lontano 1976 il regista Sidney Lumet in “Quinto potere” scoraggiava a pensare in termini di Nazioni, popoli e ideologie, parlava del Sistema di Sistemi, unico, solo, vasto, immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale dominio dei dollari. Il sistema internazionale valutario determina la totalità della vita su questo Pianeta. Il mondo – tuona uno dei protagonisti – è un insieme di corporazioni inesorabilmente regolato dalle immutabili spietate leggi del business. Il mondo è un business, lo è stato sin da quando l’uomo è uscito dal magma. Questa – conclude – è l’atomica e subatomica e galattica strutture delle cose oggi giorno.  Come dissentire?


Cristhian Re, ufficiale in congedo dei carabinieri e security manager con esperienza ultraventennale maturata in svariati e complessi settori di business, Cristhian Re è membro del Business Continuity Institute – Italy Chapter, del Comitato Scientifico della rivista S News, e del Centro Interistituzionale di Studi e Alta Formazione in materia di Ambiente (CISAFA).

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