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Ben-Essere al lavoro: Attenzione al perfezionismo!

Ben-Essere al lavoro: Attenzione al perfezionismo!

Ben-Essere al lavoro, la Rubrica di S News a cura di Giulia Cavalli, approfondisce nell’articolo che segue un tema con il quale ci si confronta molto spesso, sia in ambito lavorativo che non: “il perfezionismo”.
Ecco quindi l’analisi ed i consigli dell’esperta, che apre con una favola…

Buona lettura!

ATTENZIONE AL PERFEZIONISMO!

Erano cinque. Cinque cosi malfatti.
Il primo era bucato. Quattro grossi buchi in mezzo alla pancia.
Il secondo era piegato in due, come una lettera da spedire.
Il terzo era molle, sempre stanco, addormentato.
Il quarto era capovolto. Naso in giù e gambe in su.
E il quinto… lasciamo perdere. Il quinto era sbagliato dalla testa ai piedi. Un ammasso di stranezze. Una catastrofe.
[…] Discutevano spesso su chi, fra loro, fosse il più malfatto. Questo li divertiva molto.
Un giorno, non si sa dove, arrivò un tipo straordinario.
Era bello, liscio, perfetto. Aveva un naso al posto del naso, un corpo bello dritto, nemmeno un buco in pancia e pure una bella capigliatura.
«Cosa fate qui?», chiese il tipo perfetto.
«Boh. Niente. Sbagliamo tutto», risposero i cinque amici.
«Ah, ma non va bene! Bisogna trovarvi qualcosa, un progetto, una soluzione, un’idea!.[…] Dunque non servite a niente! Siete delle vere nullità!», disse il perfetto con aria disgustata.
«Sarà», disse il bucato «però io non mi arrabbio mai: la rabbia mi passa attraverso.»
«Mah», disse il piegato «io conservo tutti i ricordi qui, nelle mie pieghe. »
«Bzz», fece il molle, che nel frattempo era crollato addormentato.
«Eh!», disse il capovolto «io vedo le cose che gli altri non vedono. »
«Ahaaa!», rise lo sbagliato «io, che sono tutto sbagliato, quando mi riesce qualcosa si fa festa!»
E dandosi pacche sulle spalle se ne andarono, più contenti che mai. Mentre il perfetto restò lì, solo, a bocca aperta. Come un vero, perfetto stupido.”

Questa profonda favola di Beatrice Alemagna (ed. Topipittori, Milano, 2014) ci aiuta a introdurre un tema molto attuale, con cui spesso abbiamo a che fare quotidianamente (dentro di noi e negli altri) e su cui credo sia importante interrogarci: il perfezionismo.
A volte il perfezionismo viene considerato un pregio e ammiriamo chi vediamo come “perfetto”. La nostra società sostiene questo tipo di corsa verso la perfezione, come se fosse un valore. Chi è perfetto, si pensa, ha successo. Di contro, chi non si sente perfetto lamenta insoddisfazione.
Gli studiosi del perfezionismo (tra cui lo psicologo Thomas Curran, che ne ha parlato recentemente in un interessante TEDMED talk) ci mostrano come in realtà questo tratto del carattere – che negli ultimi 25 anni si è sempre più diffuso – nasconde grandi sofferenze mentali, che possono portare a depressione, ansia, disturbi alimentari, fino a gesti estremi come il suicidio.
Il fatto che la società oggi ci ponga davanti la possibilità di scegliere tra tantissime opportunità (rendendo davvero difficile scegliere, perché scegliere significa intraprendere una strada rinunciando alle altre… e quale sarà la più “perfetta”?) e che ci mostri/imponga quali siano gli stili di vita “perfetti” e da imitare (l’uso dei social media in questo senso è sotto gli occhi di tutti), sostiene la continua ricerca di un’apparente perfezione. Già dalla scuola l’idea della perfezione viene sottilmente portata avanti, poi crescendo i difetti, il nostro essere “malfatti” deve essere nascosto, per non apparire fragili e così, si pensa, falliti.
In America i tassi di perfezionismo sono elevatissimi, ma anche in Italia si sta procedendo nella stessa direzione. Lo vedo negli occhi già dei bambini e dei ragazzi, così come degli adulti che li crescono. Tutti impegnati alla ricerca di una perfezione irraggiungibile, perché in fondo ci si crede imperfetti, ci si vergogna, ci si sente insicuri.

Gli studiosi identificano tre aree di perfezionismo, in cui forse potrai riconoscerti:

1. Mi sforzo di essere il più perfetto possibile! (perfezionismo auto-orientato)
2. Sento che gli altri sono troppo esigenti nei miei confronti! (perfezionismo socialmente prescritto)
3. Se chiedo a qualcuno qualcosa da fare, mi aspetto che sia fatto alla perfezione! (perfezionismo orientato gli altri)

Tutte e tre queste aree son connesse a problematiche psicologiche. Quella forse peggiore e più dilagante nella società di oggi è la seconda, quando sentiamo che gli altri richiedono da noi la perfezione. E così si cerca di soddisfare l’aspettativa altrui, per non sentirsi “malfatti”. Ma in genere questo fa entrare in una spirale di impotenza e disperazione, di rabbia e di ansia. E spesso fa ammalare (anche fisicamente).
Ovviamente ci sono anche i lati positivi della medaglia dell’essere perfezionisti: si è perseveranti, coscienziosi, ci si impegna e si è ambiziosi. Possiamo allora coltivare questi aspetti, coscienti e contenti del proprio essere così come si è, sentendo il fallimento o la fragilità come aspetti che ci appartengono.  L’inciampo, l’errore fanno parte della nostra perfezione, perché sono il modo più “perfetto” per imparare.

In fondo, sentirsi liberi di essere imperfetti, di sbagliare, ci permette di non rimanere “lì come veri e perfetti stupidi”, ma di muoverci nella vita, di accogliere le nostre e altrui specificità, scoprendo creativamente come l’essere malfatti ci porti su strade interessanti, sicuramente più vere e profonde della perfezione patinata da copertina.

di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista

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