Security: ancora alla ricerca di ambasciatori
Nel nostro precedente articolo, Security: cerco un centro di “frazionalità” permanente, abbiamo iniziato a individuare le categorie professionali capaci di promuovere la cultura della Security all’interno delle aziende: talune rimaste a una concezione arcaica della funzione, quasi disconoscessero i mutamenti intervenuti nelle dimensioni e nelle caratteristiche della minaccia; altre, la maggioranza, colpevolmente indifferenti o, addirittura, ostinatamente refrattarie alla questione. Abbiamo cominciato con l’esaminare il mondo dei produttori, dei system integrators e degli installatori di sistemi di sicurezza. Proseguiamo ora con un settore ancora più penetrante: gli Istituti di Vigilanza.
Da fonte ANIE Confindustria, il comparto della sicurezza privata in Italia fattura circa 4 miliardi di euro, vi operano più di 1.500 imprese e 104.000 occupati. Oltre l’86% delle imprese sono società di capitali, il 7,7% cooperative. Numeri decisamente significativi. Un vero e proprio esercito di persone (oltre 64.000 le guardie giurate) che garantisce quotidianamente la sicurezza di privati e aziende.
Da una parte, quindi, sistemi e tecnici, dall’altra operatori di sicurezza e Istituti, buona parte dei quali investe in formazione, business, ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per fronteggiare le minacce insorgenti, anche di natura cibernetica. Una copertura totale, potremmo dire, sebbene il 2023 abbia visto in seria difficoltà i maggiori players nazionali colpiti da terremoto giudiziario (vari provvedimenti di controllo giudiziario per caporalato e sfruttamento dei lavoratori). Un anno che non solo verrà ricordato negli annali, ma che ha anche rischiato di compromettere la tenuta delle relazioni industriali, vedendo trasferire il tema del negoziato per il rinnovo del CCNL dal piano squisitamente giuridico a quello politico.
Cronache giudiziarie a parte, cosa rende speciale gli Istituti di Vigilanza? Principalmente la costante e rassicurante presenza di persone nelle aziende. Le interazioni e gli scambi tra le aziende e il mondo della sicurezza sono evidentemente favorite da benevole circostanze. Potrebbero esserlo ancora di più se, ad esempio, si riuscisse a superare il tradizionale rapporto Cliente-Fornitore instaurando quello Cliente-Partner. Un rapporto che non sia fondato sulla mutua dipendenza a breve-medio termine per la mera fornitura di un servizio al minor costo, ma che al contrario traguardi un orizzonte temporale di più ampio respiro (> 5 anni) in grado di assicurare qualità, affidabilità e innovazione. Ciò implica un differente atteggiamento del Partner che si estrinseca in una visione proiettata sul lungo periodo, un approccio preventivo ai problemi e alle soluzioni concordate. Essenziali, inoltre, risulteranno capacità progettuale, inventiva e organizzativa del Partner che si trasfonderanno in quella del Cliente diventando, così, parte integrante della strategia di Security di quest’ultima.
Tutto nasce dalla domanda. Da lì scaturisce l’offerta. Poi inizia il grande gioco dell’incontro nel corso del quale si determinano e si condizionano vicendevolmente. Il bravo venditore intercetta il bisogno e propone la soddisfazione del medesimo corrispondendo così alle autentiche necessità del cliente. Questo approccio etico rende perfino superflua la celebrazione del proprio prodotto. È proprio in questo scambio virtuoso tra Cliente e Partner che ognuno fonda il proprio interesse nella ricerca di quello dell’altro. Sembra utopia come tutto ciò che è capace di contribuire, in piccola o grande misura, alla crescita dell’intero Sistema Paese. Le gare di appalto servono proprio a questo, non certamente a spuntare il prezzo più basso che garantisce la disponibilità a ricevere prestazioni più che modeste. Nella domanda deve prevalere la richiesta di standards di qualità adeguati alla reale natura del bisogno. Un saggio amico ripeteva: “Se paghi in noccioline assumi scimmiette”. Il resto lo farà la legge di mercato. I vantaggi economici di un prezzo ridotto all’osso sono immediatamente calcolabili. I costi di eventi negativi futuri, invece, sono facoltà contabili del fato contro le cui bizze il manager responsabile si assicura ricercando il giusto equilibrio tra costi e qualità. In estrema sintesi, molto dipende dalla struttura dei capitolati di gara, dove non deve trovare spazio l’ambiguità.
In sostanza, ci facciamo interpreti di quanto il Legislatore aveva indicato con rara chiarezza sin dal 2010. Infatti, nell’Allegato B del Decreto Ministeriale n. 269/2010, passato alla storia come “Decreto Maroni”, si richiama l’allora UNI 10459:1995, una norma di settore che pochissimi conoscevano e ancor meno vi si certificavano. Nel 2006, ad esempio, lo scrivente era il n. 11 del registro dei Security Manager del CEPAS, allora unico Organismo di certificazione delle professionalità in tale ambito. Oggi, fonte Accredia, i certificati sono 995, di cui 677 rilasciati al mondo vigilanza ai sensi del D.M. 115/2014, Disciplinare del Capo della Polizia. Benché l’applicazione delle norme tecniche sia volontaria, quando queste ultime vengono richiamate in provvedimenti legislativi, interviene un livello di cogenza delimitato dal contesto di riferimento. Nella fattispecie, detto decreto imponeva l’obbligo per i titolari di licenza, institori e direttori tecnici degli Istituti di vigilanza (di livello dimensionale 4 e ambito territoriale di applicazione 4 e 5) di essere certificati in base ai requisiti previsti dalla summenzionata norma UNI. In quella circostanza il ministro Maroni mostrò di essere più illuminato e lungimirante di chiunque altro lo avesse preceduto (prima di lui solo Regi Decreti appartenenti al periodo Savoia) nel riordino della disciplina dell’intera materia (sicurezza privata), al punto che individuò nel panorama nazionale l’unica norma tecnica presente concepita, però, per il mondo delle aziende. Applicata agli Istituti di Vigilanza con un semplice rimando, divenne d’emblée obbligatoria. Di lì l’inarrestabile folle (rin)corsa alla certificazione alimentata dagli Istituti. Un moto che generò una sorta di paradosso: figure professionali appartenenti al mondo della vigilanza certificate e professionisti della Security d’azienda con pluridecennale esperienza non ancora certificati in quanto, allora come oggi, non obbligatorio. Da un lato lavoratori che domandavano quasi disperatamente specifici corsi (da un minimo 120 ore) e certificazioni, dall’altro scuole/Università e (nuovi) Organismi di certificazione che offrivano pronte soluzioni per soddisfare l’improvviso quanto cogente bisogno. Ecco l’esplosione dei numeri, con tutto quello che ovviamente ha comportato un fenomeno del genere lasciato all’autoregolazione. Tuttavia, al di là dei non trascurabili volumi d’affari generati a tutti i livelli, ratio e fine erano e restano nobilissimi. Siamo certi che il compianto ministro oltre tredici anni fa abbia voluto anticipare ciò che ora stiamo dicendo: ovvero, che gli Istituti di Vigilanza con cui centinaia di migliaia di aziende hanno già rapporti, sono, al pari dei produttori, system integrators e installatori, diffusori di una cultura della Security in grado di (ri)destare un intero mercato che necessita di comprendere e definire meglio i propri bisogni. Non possiamo attendere altri ottant’anni perché un altro illuminato Ministro torni a rimettere mano all’intero Corpus normativo!
Security Manager con oltre venti anni di esperienza maturata nell’industria della difesa, dell’energia, delle multiutilities, della siderurgia e dei semi conduttori. Laureato in Scienze Politiche e in Lettere, Master of Arts in Intelligence and Security. In ambito professionale è certificato CBCI, PFSO, Lead Auditor ISO 9001, 37001, 22301, 27001, 20000-1. Articolista e membro del Business Continuity Institute Italy Chapter, del Comitato Scientifico della rivista S News e del Centro Interistituzionale di Studi e Alta Formazione in materia di Ambiente (CISAFA). Autore de “La misurazione della sicurezza” – (Ed. Bit.Book) e di “Introduzione all’analisi dei rischi” (Ed. Edisef). Ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri.