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Ben-Essere al lavoro: lo faccio dopo… lo faccio dopo…

In questa edizione di Ben-Essere al lavoro, la procrastinazione è l’oggetto dell’analisi di Giulia Cavalli, psicologa psicoterapeuta, psicoanalista e parte del Comitato Scientifico di S News.
Le considerazioni dell’esperta forniscono al lettore un framework utile per comprendere il fenomeno, individuarne le possibili cause, e ragionare sulle soluzioni da implementare.

Buona lettura!

la Redazione


Lo faccio dopo… Lo faccio dopo…


Quante volte abbiamo detto o sentito dire dai nostri collaboratori (ma anche da nostri famigliari, per esempio i figli sono bravissimi in questo!) “lo faccio dopo”, e magari quel “dopo” è diventato un “mai” o un “molto in là nel tempo”. Può capitare in circostanze particolari, ma quando diventa quasi un’abitudine si può parlare di un fenomeno psicologico detto “procrastinazione”.

La procrastinazione si ha quando si ritarda nell’eseguire un compito e il ritardo è volontario, sotto il controllo della persona stessa (quindi non dovuto a fattori esterni, come la presenza di altre urgenze prioritarie o imprevisti). L’esito negativo del rimandare un lavoro è sia nella prestazione insufficiente (l’obiettivo lavorativo non viene raggiunto nei tempi stabiliti o non viene raggiunto del tutto), ma anche nei costi più elevati per l’azienda.

Questo fenomeno può essere visto come un modo per contrastare le emozioni spiacevoli connesse al lavoro, come preoccupazione e stress.

Sul luogo di lavoro, la procrastinazione non è messa in atto con l’intenzione di danneggiare il lavoro, tuttavia il risultato a cui porta è spesso questo. Oggi più che mai si procrastina più facilmente a causa dell’uso della tecnologia. Per esempio si lavora al computer, ma nel frattempo si seguono i social networks, si fa shopping online, si utilizza la messaggistica istantanea. Oppure si procrastina perché si fanno lunghe pause caffè o ci si coinvolge in pettegolezzi con i colleghi. Tuttavia non sono questi aspetti a causare la procrastinazione, ma sono degli elementi che rendono più facile sviare dall’obiettivo lavorativo che si sta perseguendo.

Ci sono degli aspetti che favoriscono o meno la procrastinazione, tra cui il modo in cui è gestita la leadership all’interno dell’azienda e il tipo di lavoro. Per esempio, più la probabilità di fallimento nel lavoro da eseguire è alta, più sarà facile dire “lo faccio dopo” e ritardare così il confronto col risultato del lavoro e l’eventuale fallimento. Anche la mancanza di incentivi, l’avere un lavoro molto difficile e le imposizioni eccessive portano a procrastinare, così come occuparsi di attività lavorative diverse da quelle che sarebbero le effettive responsabilità del lavoratore. Allo stesso modo, anche ambienti di lavoro che incentivano l’autonomia per alcune persone possono diventare luoghi di procrastinazione delle attività, perché per loro potrebbe non essere facile prendere decisioni, avendo a disposizione tanta libertà di scelta.

Infine, segnalo anche la scarsa motivazione, la difficoltà nel gestire il tempo, lo scarso senso di autoefficacia, lo stress e il perfezionismo come motori del “lo farò dopo, concluderò dopo”. In altre parole, per chi non ha interesse per il lavoro che sta svolgendo, chi fatica a riconoscere le priorità lavorative, per chi non si sente abbastanza capace di portare a termine un lavoro, per chi si sente sovraccarico e senza energie a causa del forte stress o chi vuole essere certo di fare un lavoro perfetto riguardandolo mille volte, sarà molto più facile che abbia un comportamento di procrastinazione.

Si dice che chi tende a procrastinare sia pigro e non abbia forza di volontà. In realtà le cose non sono così semplici, anzi la persona stessa spesso riconosce come irrazionale e inutile il ritardo, sa che deve fare quel lavoro importante, ma si mette a fare qualcosa di meno rilevante e il più delle volte non sa neanche il perché stia agendo in una maniera controproducente per sé stessa e l’azienda. E allora perché perdersi in chiacchiere o non affrontare quel lavoro, quando si sa che è da affrontare? Ricordiamoci che la procrastinazione è un comportamento di evitamento: il ritardo fornisce un sollievo temporaneo da ciò che si deve affrontare e che, anche se la persona non ne è consapevole, genera uno stato emotivo spiacevole.

Non è un caso che si procrastina meno per quanto riguarda gli aspetti famigliari e relazionali, mentre il fenomeno è più facile che si presenti in ambiti di studio e lavoro, negli obblighi quotidiani e anche quando si tratta di affrontare i problemi di salute.

Sono state fatte diverse ricerche sui  ragazzi e giovani e si è visto che chi tende a procrastinare di più durante il periodo di studi, tenderà a trovare con più difficoltà un lavoro e, una volta iniziato a lavorare, affronterà più facilmente nel giro di una decina di anni il burnout lavorativo.

Se il lavoro è ben strutturato e ci sono incentivi per il raggiungimento degli obiettivi, la procrastinazione tende a diminuire. È chiaro che però vanno considerate le caratteristiche di ciascuna persona. C’è chi vede, per esempio, l’autonomia lavorativa come pericolosa e preferisce lavori più strutturati e chi invece prova più stress in situazioni rigidamente organizzate. Sulla base della personalità cambiano quindi le condizioni che possono indurre o meno la procrastinazione. Questo significa che non esiste un’organizzazione del lavoro che vada bene in generale per tutti, ma va sempre pensata in relazione alle caratteristiche di ciascuno.

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